“Pozzo delle domande degli uomini, / sete che intride ogni bocca di sale: / chi sei davvero, mare, che nasconde / la tua aperta ferita, l’orizzonte.” Il mare -origine della vita – è una realtà ricca e complessa, e una categoria di pensiero che è stata declinata lungo tutta l’arte, non solo poetica; l’Autore gli aggiunge l’attributo “Pozzo delle domande” per indicare gli interrogativi che l’umanità si pone e gli pone sull’origine della vita, il divenire dell’esistenza, il movimento, le maree e tutte le creature che lo abitano. Bellissima è l’immagine dell’orizzonte come “aperta ferita” del mare, incisa ripetutamente dall’orizzonte del cielo.
Austero, ma anche scherzoso, il mare sembra divertirsi con le sue stesse onde, mentre si srotola al largo“…e dà per gioco la caccia alle onde;/ ora ad un sonno immemore/ si arrende, e ora delira/ e schianta la sua corsa / contro gli scogli, e il suo rotolo gonfio/ al largo scioglie…”
Aprile usa immagini che rivelano una consuetudine emotiva con il mare e danno ragione di un titolo apparentemente scontato, ma che in realtà “descrive” il divenire, i ritmi, le mutevoli forme del mare. Come in ogni sinfonia musicale si presentano temi che s’intrecciano, si sviluppano, ritornano, si ripetono, mai vissuti uguali, perché arricchiti dalle variazioni; così in questa raccolta le composizioni sono numerose e alcune sembrano ripetersi, anche se in realtà, come nel caso di “Frontiera” e di “Soglia” declinano aspetti diversi del “limite” e forse sono necessarie entrambe.
Le poesie sono ben costruite, ricche di riferimenti e di “immersioni” nei miti e nella scienza. Così, nel respiro del mare l’Autore ode l’eco di tamburi, al ritmo dei quali danzavano i primi uomini; contempla il mare che, a guisa di Orfeo, “piange un figlio mai tornato” …“troppo presto rapito/ da un Averno che ha lungo la battigia/ la sua soglia vorace.; lo assimila ad una creatura mitologica che “…ingoia e vomita i suoi figli/ senza numero, e spande il suo respiro/ stanco, pesante di belva che dorme/ da millenni…./”.
La soglia, ripete ancora il limite dell’orizzonte, confine del reale -inizio e fine, morte e vita – mentre il tutto del mare è unica onda che fonde tutte le vite. Come un solo istante moltiplicato all’infinito, l’unica onda adombra il tutto del tempo.
L’originalità di Guglielmo Aprile sta nella stessa poesia filosofica, capace di svolgere una riflessione profonda, quasi senza che il lettore se ne accorga: egli, ammaliato dalle immagini che si inseguono come una mareggiata e si ripetono come si susseguono le onde, si addormenta, cullato dalla risacca dei versi.
Soglia
Il mare piange un figlio mai tornato:
ascolta, invoca un nome
e lo ripete a vuoto
fino allo sfinimento, tante volte
quante le onde che fanno al suo grido
una ironica eco,
e andare in cerca sembra
anche se esausto, in una via deserta,
da solo e scalzo, sotto il temporale,
di qualcuno, chiamandolo
a piena voce: implorante Orfeo
di un volto che le ombre reclamarono,
troppo presto rapito
da un Averno che ha lungo la battigia
la sua soglia vorace.
Riomaggiore
La risacca su questa spiaggia ha un suono
sordo, cupo, un bramito prolungato
quasi animale, quando le sue gole
aspirano ciottoli e li rovesciano
sulla battigia, in una ininterrotta
ruminazione uniforme; ogni istante
il mare ingoia e vomita i suoi figli
senza numero, e spande il suo respiro
stanco, pesante di belva che dorme
da millenni. Voce possente: sale
da un regno inabissato sui fondali
in cui ho abitato, forse alga o pesce,
ho nuotato in una città sommersa
prima di nascere; voce che sembra
ora chiamarmi, sussurrarmi “Vieni,
non indugiare, torna a queste acque
e lascia che ti trascinino al largo”.
Battesimo
La baia, con il suo profilo curvo,
scava una culla
sospesa tra nuvole ed onde:
nel suo profondo grembo
io mi corico, e piano
disteso su di un fianco, prendo sonno
su questa spiaggia, embrione
delle galassie, e il mio corpo consegno
alla sabbia, alla sua carezza calda
che mi battezza a una seconda nascita
più vera e pura; mi fa oggi il mare,
non di carne, da madre.
Dormiveglia
Nel dormiveglia, sento spesso il mare:
il suo respiro calmo,
regolare, il suo polso
che batte lento, senza sforzo, a un ritmo
possente, sempre uguale,
da quando letti di granito accolsero
le sue gigantesche ossa;
e la sua voce sento
lambirmi quasi il cuscino, il suo canto
che al sicuro mi scorta
nel sonno, ninna nanna
il cui suono fa il mondo
tornare bambino; e il suo corpo
sento, anche se lontano,
che si gonfia e che si contrae, qui accanto
a me, lo sento respirare piano.
Il mare, ascolta, sembra che respiri
Stetoscopio del mare, camminare
sulla battigia: leggo
nell’umida labile striscia
che l’onda traccia sulla sabbia il grafico
di un cuore che batte all’unisono
anche in me e in ogni cosa che respiri;
e mi sembra, dal largo,
che una serie di colpi su un tamburo
perduto sui fondali, si succedano
per la distanza quasi impercettibili
eppure a un ritmo costante, sicuro,
eco di quando danzavano al buio
in cerchio i primi uomini, riuniti
intorno a un fuoco, a un altare di pietra.
Universale
Cortine si diradano di nubi,
drappi di nebbia svelano
più limpide e più ampie
le distanze allo sguardo
che spazia sullo specchio d’improvviso
rischiarato del mare;
sull’orizzonte è scritto
che non sono reali né l’inizio
e né la fine, né morte e né nascita
e che il tempo non è
che un solo istante, ma moltiplicato
per se stesso infinite volte; e come
tutte le onde di una sola onda
fanno parte, così tutte le vite
in una sola vita il mare fonde.
Guglielmo Aprile, Sinfonia del mare, Ed. Il Convivio, Castiglione di Sicilia (CT) 2021
Guglielmo Aprile è nato a Napoli nel 1978. Attualmente vive a Verona. È stato autore di alcune pubblicazioni di poesia (“Il dio che vaga col vento”, 2008; “Primavera indomabile danza”, 2013; “L’assedio di Famagosta”, 2015; “Il talento dell’equilibrista, 2018; “Elleboro”, 2019; “Farsi amica la notte”, 2020) e di studi critici sulla poesia del Novecento e su alcuni classici della tradizione letteraria italiana.