Recensione di Carmine Chiodo a Ju core, ju munne, le parole

Una nuova raccolta di versi in dialetto di Pietro Civitareale

Pietro Civitareale è un apprezzato critico, scrittore e poeta non solo in lingua ma anche in dialetto (quello di Vittorito, paese natale in provincia de L’Aquila, ma il poeta vive da molto tempo a Firenze). Egli ritorna alla sua terra con le sue stupende poesie dialettali.

Sulla poesia di Civitareale nel corso del tempo si sono espressi vari e qualificati studiosi, dandone giudizi giustamente positivi. La presente raccolta (Ju core, ju munne, le parole, Edizioni Cofine, Roma 2013) è formata da liriche che sono state scritte in epoche diverse. Come si legge nella Nota dell’autore, inoltre, il volume recupera anche gran parte dei testi apparsi nella raccoltina Quele che remane, stampata nel 2003 a Torino in soli trenta esemplari"(p.3). Civitareale è anche studioso assai profondo del dialetto e sa perfettamente che esso è un potente mezzo espressivo che ci fa sentire molto legati alle nostre radici, alla nostra terra, facendo sì che "la nostra identità antropologica non vada dispersa, soprattutto in una temperie come quella attuale, in cui le connotazioni originarie dell’individuo e della comunità sono costantemente minacciate dall’effetto omologante della società di massa e della globalizzazione"(p.3, sempre della Nota dell’autore); e ancora in questa nota si legge, o meglio si fa una precisazione importante che attiene al dialetto, indicato genericamente nel sottotitolo del libro come "dialetto abruzzese" ma che in realtà è quello del suo paese natio e cioè, come ricordavo prima, Vittorito, "un paesino della provincia dell’Aquila, già pagus romano e poi borgo medievale di strategico rilievo, nell’avvicendarsi delle fazioni per il dominio del territorio peligno" (cito sempre dalla Nota). Orbene il dialetto, questo dialetto utilizzato in Ju core, ju munne, le parole, è trattato da Civitareale in maniera da conservare ( come si legge sempre nella Nota citata) "le proprietà della immediatezza e della evidenza emotiva, nel tentativo di renderlo più recepibile e coinvolgente nonostante l’intrinsica rigidità della scrittura".

In tale operazione Civitareale è riuscito molto bene; e al riguardo cito alcune poesie: "Me vulesse mureje a primavere / sotte a nu cerasce nfiore, / quande ce sta la luna piàine / i le stelle dòrmene nciele" (Me vulesse mureje, p.57). Ecco la traduzione dello stesso Civitareale: "Vorrei morire a primavera sotto un ciliegio in fiore, quando c’è la luna piena e le stelle dormono in cielo"(Vorrei morire). "Me recorde pìure / ca ju ciele è azzurre, / i le cecale càntene / fine a sfiatarse, / ajju paiàise meje" = Mi ricordo pure che il cielo è azzurro, e le cicale cantano fino a sgolarsi, al mio paese" (Le merìcuele = Le more, p.53). Un dialetto fortemente espressivo e seducente, che ci fa assaporare varie sensazioni e ci presenta nello stesso tempo le varie situazioni interiori ed esteriori in questa affascinante e mirabile raccolta, un dialetto che nasce dal cuore del poeta che non sa dimenticare il luogo natale, in cui è vissuto fino a un certo punto della sua vita, e di cui, in ogni caso, fa rivivere i bagliori, il paesaggio, le persone più care: "Nu sole rusce / dentre ajju giardéine. / I màtreme che dàive / i chelìure ai fiore, / i pàtreme che letecàive / che’ i ciejje. / I jeje, che’ n’arlogge / che nen curràive, / che cuntàive j’enne. / I aspettàive" = Un sole rosso nel giardino. E mia madre che distribuiva  i colori ai fiori, e mio padre che liticava con gli uccelli. Ed io, con un orologio fermo, che contavo gli anni. Ed aspettavo" (Nu sole rusce, Un sole rosso, p. 39).

A leggere con attenzione queste nitide e affascinanti poesie siamo sorpresi non solo dalla fluidità ed espressività del dialetto ma anche dalla misura lirica della raccolta che presenta varie tematiche sempre espresse con un linguaggio di facile comprensione: "Inotte haje ntéise / acque i viente. / Chi sa i fiore / che se ne so’ cascate" = Stanotte ho sentito pioggia e vento. Chissà quanti fiori sono caduti!" ( I fiore = I fiori, p.27); "I me piace penzà / che tu me pienze, / mentre, tra véjje i suonne, / aspette che passe / n’àutra notte, zùffele / de viénte tra le frétte" = E mi piace pensare che tu mi pensi, mentre, tra veglia e sonno, attendo che passi un’altra notte, soffio di vento tra le siepi" (Me piace= Mi piace, p. 21). Non credo di esagerare se affermo che oggi come oggi è raro leggere versi così precisi e fluidi come questi che finora ho citato e che citerò ancora nel corso della nota. Versi spontanei, carichi di grandi sentimenti e di calore umano, ricchi di vibrazioni interiori, di alti e profondi significati esistenziali, e talvolta pieni di metafore che rimandano sempre a una dimensione dell’esistenza. Tutto scorre lieve e poetico. Nessuna immagine pesante, ma tutto è leggero e naturale ed hanno una estrema chiarezza le analogie, sempre ben dosate che specificano aspetti naturali e meccanismi umani: "I penzéire vanne e vienne / dentre alla mente, / come i réme de na piante / sbattìute da ju viénte" ("I pensieri vanno e vengono nella nostra mente, come i rami d’una pianta scossa dal vento", Ogni juorne = Ogni giorno, p. 15); oppure questi altri versi che si risolvono in tocchi leggeri e rapide pennellate: " Menacce acque / na nùvela nàire / sopr’alla muntagne"= Minaccia pioggia una nuvola nera sulla cima della montagna" (Menacce acque = Minaccia acqua, p.14); "I, come na fàuce affelate, / le fridde è recalate / sopr’a tutte le chéuse = E, come una falce affilata, il freddo è ribiombato su tutte le cose" (Come na vote = Come una volta, p. 17), solo per citare alcuni versi.

Con un dialetto penetrante, ricco di varie tonalità liriche, emotive, espressive viene presentato il cuore, la vita, i fatti quotidiani, il mondo, le cose, la natura, le stesse parole, i paesaggi, certi momenti delle stagioni o dei mesi: "La lìune i ju sole, /la lìuce i l’acque, / na freccia d’ore, / nu ciele de settiembre = La luna e il sole, la luce e l’acqua, una freccia d’oro, un cielo di settembre" (I tutte è azzurre = E tutto è azzurro, p. 18); "All’ampruvvéise ju juorne / s’è ammutéite i dentr’alla case / s’è fatte nu selenzie fennìute = D’improvviso il giorno è diventato muto e nella casa si è fatto un profondo silenzio" (All’ampruvvéise = All’improvviso, p. 19); " La case è aperte, / la porte nen te’ la chiéve / i éntrene i éscene / ombre che nen  se vìdene = La casa è aperta, la porta non ha la chiave ed entrano ed escono ombre che non si vedono" (Dentr’alla stanze = Nella stanza, p. 33). Con uguale naturalezza e perizia sono colte scene umane, paesane: "I alla cantéine / Pasquale mbriache, / che nen lentàive / de raccuntà de quande / faciàive ju suldate = E nella cantina Pasquale ubriaco, che non la smetteva di raccontare di quando faceva il soldato" (Quattre chése, Quattro case, p. 35). Dalle molte citazioni che ho fatto è facile arguire che ci troviamo di fronte ad un poeta ben dotato e originale da ritenere senz’altro il miglior poeta dialettale abruzzese e non solo abruzzese. Civitareale ha un suo modo di dire la vita, i suoi sentimenti, di guardare al paese e alla sua gente, alle cose, esprimendo tutto ciò con un linguaggio ricco di sfumature che ben s’accorda alle varie situazioni penetrandole e scandagliandole, dando di esse una fisionomia altamente poetica grazie all’uso grandemente espressivo del dialetto di Vittorito.

Ha osservato Franco Loi, a proprosito del libro di Civitareale Come nu suonne del 1984, che il poeta ci dà una poesia molto tenera e che nel contempo utilizza "con grande efficacia un modo semplice, limpido di accostare le cose". La stessa cosa vale anche per queste poesie, e direi che ciò è, a mio avviso, la nota dominante della poesia di Civitareale:"La notte ammucchie / ju selenzie dentre alla case. / Da le fundamente ajju titte / se sente sulamente / j’arlogge de ju tiémpe = La notte ammucchia il silenzio nella casa. Dalle fondamenta al tetto si sente solo l’orologio del tempo" (La poesia si intitola La case = La casa, p. 50); "La notte sulamente / se sente vulà nu muschitte, / se sente cantà nu ciejje, / nasce o se more n’ome = La notte soltanto si sente volare un moscerino, si sente cantare un uccello, nasce o muore un uomo" (A primavere = A primavera, p. 30); oppure presenta situazioni esistenziali, momenti sentimentali o di innamorati in un modo assai originale che appartiene tutto al poeta Civitareale e che solo lui sa usare con profondità e tratti incisivi: "Quande te uarde, core / me zompe nganne come / nu ciejje pazziariejje = Quando ti guardo il cuore mi salta in gola come un uccello che vuole giocare" (Puterce sprefunnà = Poterci sprofondare, p. 5); "Chiare de pelle, / nàire de cijje, / de ciele j’uocchie / i de mare. / I rose i gijje / te scòppene / tra i capijje = Chiara di pelle, nera di ciglia, di cielo gli occhi e di mare. E rose i gigli fioriscono tra i tuoi capelli (Ma mo’ te ne vé = Ma ora te ne vai, p.10).
 
Ritmi essenziali, varie tonalità, varie situazioni e momenti differenti rendono stupenda questa poesia di Civitareale che affascina il lettore anche perché il dialetto si presta ad essere compreso nei suoi suoni e nelle sue sfumature. Inoltre essenzialità, profondità di immagini e forza di sentimenti, bei scorci fantastici e naturali rendono ancora più stupenda questa raccolta poetica che mostra un poeta dialettale di tutto rispetto, affascinante e coinvolgente: "I le notte mpizze ajju sprefunne / de ju suonne, ju penzéire nen lènte. / I come nu viérmene se turcéine / i returcéine dentre alla mente = E le notti, sul punto di sprofondare nel sonno, il pensiero non ti abbandona. E come un verme si torce e ritorce nella mente" (Ottobre = Ottobre, p.11).
Una poesia questa di Pietro Civitareale che si legge con facilità e piace per i temi e la poeticità del dialetto e prendo congedo da questa mirabile silloge citando All’ampruvvéise (D’improvviso, p. 19): "All’ampruvvéise ju juorne / s’è ammutéite i dentr’alla case – s’è 
fatte nu selenzie fennìute. / Ju munne nen dà chià segne / de véite i, se revùsceche / dentr’alla mente, siente sole / la véuce de ju tiémpe passate. // Semme fatte sole de recuorde = D’improvviso il giorno è diventato muto e nella casa si è fatto un profondo silenzio. Il mondo non dà più segni di vita e, se frughi nella memoria, senti solo le voci del passato. Siamo fatti solo di ricordi".

In sostanza, ben vengano raccolte poetiche dialettali come questa di Civitareale che ci mostra un poeta che mira all’essenziale e nel contempo i suoi versi mostrano il suo mondo interiore e il garbo, la gentilezza con le quali costruire scene esistenziali e sentimentali. Versi ben costruiti nei quali c’è l’essenziale, lo stringato e poi – lo ribadisco – c’è il dialetto, quello di Vittorito, che fa veramente miracoli rendendo mirabile lo snodarsi delle scene e dei vari sentimenti, delle creazioni fantastiche e reali. Civitareale ama scrivere in dialetto che usa a fini squisitamente poetici: il dialetto non è meno della lingua e grazie ad esso la poesia diventa più espressiva, emotiva e più significativo e incisivo ciò che viene rappresentato:"Solamente / chi nen té niente / sta mpace. / Perciò spòjjete / d’ogni chéuse. / Fa’ che la morte / te trove chiare / come l’acque, / innucente / come nu cìtele, / nìude come / nu viérmene = Soltanto chi non possiede nulla è in pace. Perciò spogliati di ogni cosa. Fa che la morte ti trovi limpido come l’acqua, innocente come un bambino, nudo come un verme" (Come nu viérmene = Come un verme, p.54).  Da quanto ho detto e citato si giunge alla conclusione che Pietro Civitareale è poeta molto onesto, autentico, introverso, chiaro e non ampolloso, molto efficace, colloquiale e significativo: "E’ state nu tiémpe de sole, / nu tiempe de feste i meravijje, / quande dentre ajj’uorte / ju cerasce mettàive i fiore / i le rìnnele nciele / parèvene tante criuce nàire. / Ma nu juorne ce semme / lassate senza na parole, / nu cenne, nu salìute. / I mo ce sapare nu mìure / d’arie, àute come na muntagne = Fu un tempo di sole, un tempo di festa e meraviglie, quando il ciliegio nell’orto fioriva e le rondini in cielo sembravano tante croci nere. Ma un giorno ci siano lasciati senza un gesto, una parola, un saluto. Ed ora ci separa un muro d’aria, invalicabile come una montagna (Nu mìure d’arie = Un muro d’aria, p.60). E’ davvero piacevole e soddisfacente leggere questi pezzi d’anima che sono le poesie di Pietro Civitareale.

Carmine Chiodo