[NOVEMBRE 2019] Quelli der fero. Ferrovie e ferrovieri, poesie in dialetto romanesco di Renzo Marcuz, Roma, Edizioni Cofine, pp. 60, ISBN 978-88-98370-57-3, euro 10
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IL LIBRO
“Da giovane feci il ferroviere ed ero ancora relativamente giovane quando decisi di lasciarlo, quel lavoro. Distacco consumato con grande sofferenza perché alla fine me n’ero anche un po’ innamorato… di quel lavoro! Non so se da piccolo fosse la prima tra le mie aspirazioni ma, riflettendoci bene, era un po’ scontato che andasse a finire così. “Chi è che fa bene er prete? Er… fijo der prete!”, questo afferma un vecchio detto di quella Roma che i preti doveva conoscerli assai bene, e forse io ho fatto il ferroviere… perché anche papà lo fece.”
“…Un mondo di sentimenti, di dolorose tragedie, di gioiosi viaggi, con sullo sfondo meccanismi, attrezzi, segnali, carri, carrozze, treni, stazioni. Vi operavano “Quelli del ferro”, in un insieme complesso. Perché il sottotitolo del libro dice che si tratta di “Ferrovie e ferrovieri”. Sono il mondo delle ferrovie, e i suoi protagonisti umani che diventano i personaggi della raccolta di poesie di Renzo Marcuz. Versi del dialetto romano, svelto e solenne. (Antonio Dentato)
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L’AUTORE
RENZO MARCUZ, ingegnere ferroviario nato a Roma nel 1948 da genitori friulani, vive ed opera a Ciampino. Dopo aver svolto la sua attività professionale in settori tecnici e ingegneristici ferroviari, dilettandosi nel tempo libero con studi e riproduzioni acquarellistiche, ha prodotto alcuni racconti ambientati nel mondo del viaggio e della memoria. Da ultimo egli scrive poesie, brevi rime in vernacolo romanesco, che spaziano tra argomenti diversi nei mondi dell’attualità e del ricordo.
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NEL LIBRO
Mio padre fu Verificatore, prima a Cassino poi a Roma Termini, e ricordando quanto lui fece al fine di garantire per sua parte viaggi sicuri a centinaia di treni, migliaia di persone, mi capita, a volte, di ripensare…
A QQUER MARTELLO
Come ricordo bbene a qquer martello
mi’ padre l’addoprava sur lavoro.
Lungo… quer giusto, er manico sottile,
mi’ padre ce sentiva… l’ammaloro. (1)
Me pare de vedello, a papà mmio,
ch’annava sopr’e ssotto pe’ li treni, (2)
pe’ ddaje poi l’occhei (3) ar machinista,
ma doppo avé provato… puro i freni!
Poi se n’aritornava, ’na mezz’ora,
dentr’ar gabbiotto suo (4) co’ qqua’ (5) collega,
e doppo ancora via, pe’ ’n antro treno,
sempr’a cercà quer sôno… (6) chello frega!
E ggiorno e nnotte, e Pasqua e Ppifania,
e mmai papà s’arrese e ddisse basta,
lui tutto sopportava e ttribbolanno… (7)
ce fece grandi (8) e a nnoi… questo ciabbasta! (9)
1 Capiva se ci fossero eventuali ammaloramenti, lesioni nell’acciaio delle ruote.
2 Avanti e indietro lungo i treni.
3 Un modulo in cui dichiarava che tutto era in ordine.
4 Nel suo posto di guardia.
5 Con qualche.
6 Quel suono.
7 Con molti sacrifici.
8 Fece crescere me e mio fratello Marco.
9 Ci basta.
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Prima di parlare dei viaggi fatti in treno un breve ricordo di quanto consentiva, ai ferrovieri e ai loro familiari, di viaggiare gratis1. Erano le cosiddette “concessioni”, ovvero…
LI BIJIETTI
“Ahó, annamo ar mare? (2)
Ciavemo (3) li bijietti
e ssenza pagà er treno…
nun parimo poretti…” (4)
Ma ppuro co’ i bijetti…
nun c’era da sbajasse, (5)
color verdino (6) ai capi,
portrone in prima classe!
Pell’artri, bassa forza,
colore… più modesto,
rosa, si nun me sbajo,
“E…vvedi arzatte presto!”
Essí ch’a trovà er posto
sempr’era ’n’avventura,
e ppuro si dde legno… (7)
’n pareva robba dura!
1 Con un limite di seimila chilometri l’anno.
2 La nostra meta, da ragazzi, era quasi sempre Ladispoli, dove c’era uno stabilimento balneare del Dopo Lavoro Ferroviario di Roma.
3 Abbiamo.
4 Non sembriamo povera gente.
5 Si notavano le differenze sociali.
6 Era questo il colore dei loro biglietti.
7 Anche se di legno (Così erano infatti i posti a sedere sulle carrozze di seconda classe e, negli anni cinquanta, su quelle di terza).
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Oggi i treni sono velocissimi, silenziosi ed ipertecnologici, mentre un tempo erano lenti, anche se li chiamavano “le frecce”. Lunghissime e sferraglianti quelle frecce risalivano l’Italia per condurci fin quasi a destinazione lasciando il compito finale a treni più piccini, “le littorine”… (1)
L’URTIMO TRENINO
Le frecce che de notte,
vanno su la rotaja, (2)
porteno a tanta ggente,
sia bbona… che canaja. (3)
Io m’aricordo come,
quann’ero regazzino,
annavo a ttrovà nnonna
coll’urtimo trenino!
Partiva da Sacile,
e ciaspettava a tutti,
eppoi ce caricava,
li bbelli…eppuro i bbrutti. (4)
Che fforza le campagne!
Mi madre era contenta,
a ccasa ciaspettava…
radicchio co’ ’a polenta!
1 Il termine littorina come sinonimo di automotrice (abbreviazione di carrozza automotrice) risale all’epoca fascista quando venne coniato (1934). Due anni prima era stata inaugurata Latina con il nome Littoria (da cui il nome littorina).
2 Percorrono i binari.
3 Ce n’è di tutti i tipi.
4 Non erano elitari, quegli ultimi trenini, alla fine accoglievano tutti.