Quegli anni dall’alto

di Antonio Orlandi

[DICEMBRE 2020] Quegli anni dall’alto di Antonio Orlandi, prefazione di Maurizio Rossi, Roma, Edizioni Cofine, pp. 160 con illustrazioni, € 15,00

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L’opera si compone di quattro parti: “Dal precariato alla fabbrica”, “I compagni e i padroni”, “1974-1980: anni di sogni e di follie”, “Primi effetti della globalizzazione” e si fa leggere come racconto sociale e personale.

(dalla Prefazione) L’Autore “viaggia” dagli anni della sua formazione umana e lavorativa nel rigido sistema produttivo industriale e poi nelle schermaglie, non sempre diplomatiche, del Consiglio Municipale. Parallelamente fa scoprire la nascita e l’evoluzione dell’industria alimentare italiana, la maturazione del movimento sindacale, la politica locale negli anni della Seconda Repubblica e, sullo sfondo, gli anni delle stragi, del piombo, della scomparsa di figure politiche carismatiche e spesso rimpiante.

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Prefazione di Maurizio Rossi

Tubi e giunti, architetture per ingabbiare palazzi da restaurare, per sostenerne di nuovi; costruzioni temporanee, provvisorie, eppure necessarie. Quante volte Antonio vi sarà salito e sceso, facendo a gara con i compagni, ignaro che avrebbe raccontato quegli anni di apprendistato e tutti gli altri, quando era in Fiorucci.

Sui ponteggi, osservava dall’alto la gente e la città: lì ha imparato ad avere, inconsapevolmente all’inizio, una visione “dall’alto” uno sguardo grandangolare e non focalizzato su un particolare. Ancora dall’alto, sul carro-ponte in cella frigorifera, prendeva coscienza di questo sguardo, distanziandosi da visioni “miopi” – l’orticello del “diritto acquisito”, o riforme parziali e settoriali – anche nelle analisi e nella prassi del sindacato.

“Viaggiatore privilegiato o cantastorie?” lui si chiede nella nota introduttiva: ebbene, se non avesse viaggiato – non solo negli anni della fatica e delle lotte, ma anche attraverso l’Europa – avrebbe raccontato, “cantato”? Lui, lettore instancabile, ma non letterato, mai scrittore prima di ora, eppure “cantastorie” grazie al dono di un’inossidabile memoria di luoghi, avvenimenti, persone, si fa scrittore. Non come semplice osservatore e critico, ma quale testimone protagonista: la sua voce narrante è dentro gli avvenimenti, questa è la prima peculiarità del libro.

Così, insieme a lui, il lettore rivive le tappe del suo viaggio, la sorpresa dei cospicui “gettoni” avuti per le sue imprese calcistiche nella squadra dell’IRCA e poi Fiorucci; e via via lo accompagna, tra successi e insuccessi, roventi assemblee e gelo sottozero nella cella frigorifera, fino ai nostri giorni.

Per me, che lo conosco da quasi cinquant’anni, leggere tra le righe della narrazione per scoprire i pensieri inespressi, forse è più facile; ma anche per chi ha minore o nessuna consuetudine con Antonio, affiora, tra i personaggi e gli avvenimenti che si susseguono come parte di una prospettiva più ampia, lo sguardo dell’autore-protagonista che mette a fuoco i particolari: del resto, l’infanzia e le estati passate tra le montagne d’Abruzzo hanno dato ai suoi occhi sia ampiezza che precisione. È questa la seconda peculiarità dell’opera.

Quegli anni dall’alto non è un saggio socio-politico – tanti ne sono stati dati alle stampe su quest’argomento! – quanto una rilettura della sua progressiva liberazione da semplice e “appagata” forza lavoro, a trascinatore propositivo e mai soddisfatto dell’obbiettivo raggiunto; rilettura rivolta a chi non ha conosciuto o vissuto il processo evolutivo del lavoro in Italia – comprese le faticose e impensabili conquiste anche nel complesso e spesso marginalizzato ambito del lavoro femminile – dei suoi costi umani e della successiva “involuzione”. Antonio non lo fa certo per un senso di colpa – del resto lui non si ritiene un privilegiato – piuttosto per l’urgenza di una messa a fuoco, nelle fortune e sfortune, errori e felici intuizioni, di quel periodo storico (gli ultimi trent’anni del secolo scorso e la prima decina di quello attuale) complesso e fecondo, vanificato poi da tensioni interne al mondo del lavoro e da vicende politiche nazionali ed internazionali.

L’opera si compone di quattro parti: “Dal precariato alla fabbrica”, “I compagni e i padroni”, “1974-1980: anni di sogni e di follie”, “Primi effetti della globalizzazione” e si fa leggere come racconto sociale e personale. L’Autore “viaggia” dagli anni della sua formazione umana e lavorativa – comprensivi della “educazione sentimentale” – nel rigido sistema produttivo industriale e poi nelle schermaglie, non sempre diplomatiche, del Consiglio Municipale. Parallelamente fa scoprire al lettore, con gusto, la nascita e l’evoluzione dell’industria alimentare italiana, la maturazione del movimento sindacale (quanto manca oggi la Scuola Sindacale di Ariccia?!) la politica locale negli anni della Seconda Repubblica e, sullo sfondo, gli anni delle stragi, del piombo, della scomparsa di figure politiche carismatiche e spesso rimpiante.

Lo stile narrativo è asciutto, schematico a volte, altre ironico e arguto, con tratti dialogati in dialetto romanesco: si ha l’impressione di ascoltare più che leggere, per l’oralità che sottende tutta la narrazione. La memoria vivida rianima personaggi, alcuni quasi pasoliniani, altri paradossali, altri ancora idealizzati, a causa della giovane età del protagonista: nessuno però finto, grazie all’abilità evocativa, prima che descrittiva; rivela aneddoti gustosi e risvolti forse poco piacevoli dei Sindacati e della Politica italiana.

Questa di Tonino è una rilettura “onesta” del passato per comprendere l’attualità – come dovrebbe essere in ogni processo educativo – non a vantaggio solo dei giovani d’oggi, ma anche dei meno giovani, portati a confrontare le loro esperienze, lavorative, anche se diverse, con quelle dell’Autore e a conoscerne altre; “onesta”, scavando nelle vicende, evidenziando i meccanismi ben oliati, oppure “grippati” delle catene produttive e sociali.

Il film narrativo è esso stesso un “ponte” con, e per, le giovani generazioni. Con esse, il dialogo è possibile, sembra dirci Antonio, quando i “vecchi” non si pongono solo come “maestri”, ma come “testimoni” e attori che sanno cedere la scena. Così, l’autentica tradizione conserva e tramanda il desiderio di viaggiare nelle situazioni e con le persone, e ripercorre strade già fatte, senza innamorarsi di questo o quel paesaggio; ma ripensando al cammino percorso, con un occhio al terreno e uno all’orizzonte, porta con sé un bagaglio nuovo: l’onestà di criticare anche la propria andatura.

Conclude il libro una suggestiva carrellata fotografica, un racconto parallelo o, per meglio dire, sincronico: dal bimbetto Antonio, già calciatore, all’uomo che lavora, manifesta e progetta; in una monocromia (bianco e nero) che esaltava nel contempo differenze e sfumature, mentre la policromia, oggi, le rende meno certe e forse poco distinguibili. Uno sguardo dall’alto – non certo lontano e distaccato – come quello dell’Autore, può aiutare a discernerle, soprattutto da parte di chi ancora non soffre di presbiopia.

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L’AUTORE

ANTONIO ORLANDI (per gli amici, Tonino) è nato a Villetta Barrea (L’Aquila) nel 1953 e vive a Roma, a Centocelle. Sposato con Cristina, ha due figli. Eletto nel Consiglio di Fabbrica della Fiorucci, è stato delegato e dirigente sindacale della CGIL Alimentaristi dal 1975 al 1982 e dal 1996 al 2002, e consigliere nell’ex VII Municipio di Roma dal 2001 al 2012 Attualmente opera nel sociale attraverso l’associazione “La Primula”, di cui fu tra i fondatori nel 1988.