Dovendo scegliere un aggettivo che qualifichi questo ultimo libro di Manuel Coen, si potrebbe usare la parola “necessario”.
Necessaria, solitaria, appassionata voce a denunciare un vuoto politico e civile nel nostro addormentato “inverno” occidentale. E proprio viaggio d’inverno è la traduzione letterale di Winterreise.
Nella nota introduttiva Giammario Licini ci avverte che questo è anche il titolo di una serie di Lieder di Schubert composti nel 1827 su testi del poeta Wilhelm Müller. Che hanno a che fare i versi di Müller con quelli di Manuel Coen? Ben poco all’apparenza, ma, ascoltando meglio, c’è in comune ‹‹l’idea del passaggio, della solitudine dell’inverno, di nostalgia degli affetti perduti››, ci precisa Licini, e continua sottilmente: ‹‹Il nucleo tematico non è la storia di questi ultimi decenni, che pure è “raccontata”, ma il sentimento dell’occidente e, piuttosto, la sua “tenuta” nella storia, o il sostanziale fallimento, la sua decadenza politica e morale (oggi anche economica)››.
Winterreise è parola onomatopeica, ha il suono duro e inquietante di una freccia che sta per traversarci , il volo è diritto, breve, ci allerta senza scampo. In magnifiche ottave (metrica breve e sintassi lunga, dice Gianni D’Elia), che ci restituiscono il senso perduto dello stupore. Lezione di tradizioni metriche raccolta dai poemi cavallereschi, lezione di prassi, o meglio passione politica e intellettuale raccolta dai contemporanei Fortini, Pasolini, Volponi, e non solo.
Il poemetto è strutturato in undici “inverni”, o capitoli di “storia”, in un arco di tempo che va dalla fine degli anni ’80 ai tempi attuali. “Inverni”, tutti e undici, raccontati in un fluido scorrere del tempo e del verso da un luogo all’altro dell’anima senza punti fermi, senza maiuscole, con sottotitoli che aiutano la traversata innevata della copertina, piccole mappe guida, che fanno memoria…A questo proposito, nella bella nota (del ’97) in postfazione, dice Gianni D’Elia: ‹‹La memoria di un’esperienza collettiva, e la sua frustrazione, sono il segno postumo di una voce poetica che, a differenza della totalità della poesia nuova degli anni ’90, cerca altrove da sé una fonte di ispirazione››.
Tutto è curato nel libro di Manuel Coen, dalla copertina, alle citazioni, agli esergo, all’uso dell’enjambement e dei corsivi, come accade in INVERNO,1: ‹‹(e venne sul finire/la rabbia del restare/ la sete di guardare/ la gente mentre vive/ e mentre mente e dove/ si piega e lotta a dare/ s’appresta a preservare/ un’ora mentre muore)››. Versi di grande civiltà, dove il sentimento di “mancanza” d’ogni cosa necessaria (dall’onestà all’intimità), dove l’indignazione è profondissima e quindi struggente. Questo si ripropone in tutto Winterraise e sempre nella prima parte, forse quella più meditata e assoggettata alla diminutio; nella seconda parte (dove il racconto poetico arriva già oltre gli anni duemila) e, soprattutto nelle ultime pagine, l’ironia tagliente è di certo una boccata di ossigeno, che ci raschia la coscienza e, a volte, dall’indignazione si passa al risentimento: in questi momenti i versi diventano volutamente sovramodulati, disturbanti, fortemente sarcastici.
L’occhio ellittico del poeta guarda “fuori da sé” attraverso analogie, metafore o altri marchingegni letterari, mettendosi al di sopra del contingente o, ad esempio, sopra un verso di Pier Paolo Pasolini, o di altri intellettuali, per poi andare verso vie e pensieri singolari: ‹‹“non è di maggio questa impura aria”/ se al nostro passare rapida incupa/ s’è del millennio la morsa incendiaria/ e al gas nervino la mente dirupa/ mentre avara vive la terra all’aria/ chi per niente spera per niente lotta/ se per rinuncia s’adusa al guadagno/ o se per alibi ricusa il compagno››. Solo un accenno al “contingente” gas nervino, il resto è amara “volontà di dire”, come dice Manuel Coen nella sua nota d’autore: ‹‹Ho avuto “volontà di dire”, coltivando la scrittura come un bene primario, sebbene consapevole che ogni ipotesi di comunità, sia essa civile o di affetti, di idee o di prassi, risulti a tutt’oggi quanto mai lontana da una qualche realizzazione››.
Viene da pensare che “questa” scrittura non sia più considerata dalla comunità bene primario, e viene da dire, spaventati, con W H. Auden: ‹‹Quando le parole perdono significato la forza fisica prende il sopravvento›
Winterreise (La traversata occidentale) di Manuel Cohen – Edizioni CFR, 2012. (premio Franco Fortini 2011)
Anna Elisa De Gregorio
6 ottobre 2012