Poesia dura, compressa, quasi stritolata dai lemmi della medicina, dal linguaggio specialistico- scientifico d’una sindrome di cui molto si parla e ben poco si sa del come trovare la cura. Se Patrizia Sardisco ha abituato i suoi lettori a una lingua netta e schietta, priva di allusioni, profonda e meditata perciò diretta al cuore delle cose, con Autism Spectrum (Arcipelago Itaca, 2019) è il cuore delle cose a rivelarsi nella sua immane dolorosa verità sicché ogni strofa della raccolta è espressione di sgomento e di impotenza.
Provare a dire l’indicibile è sforzo non indifferente dal momento che il linguaggio sterilizzato, asettico della medicina si scontra con “l’urgenza della interrogazione, l’enigma perenne di ciò che sfugge a ogni controllo razionale”, puntualizza Anna Maria Curci nella postfazione a questo libro nel quale continuamente si compone e riscompone il tentativo di giungere a quella enclave, territorio-limite del silenzio autisco, un territorio a se stante e impenetrabile, inesplicabile, sottolineato da particelle di negazione (no, non) e dalla preposizione di valore sottrattivo “senza” e della dubitativa parola “forse”, incipit iterato cinque volte di seguito nella parte centrale di questo libro, cinque poesie che tanto quanto le altre tolgono il fiato, scuotono la coscienza sino alla commozione: forse la prova è ignorare/le curve speculari/(…)/ fingere la distanza la differenza/ della tua differenza; e ancora forse la prova è non ignorare/ saperle le curve speculari; forse la prova è usare /la periferia retinica/come cercando in cielo/un corpo piccolissimo/e di distante luce; o forse la prova è usare i guanti/ un’alta protezione anti_/taglio contro l’autoinganno, oppure e ancora forse la prova è farsi prova/ banco di prova base antisima.
Malgrado i molti termini scientifico-sintomatologici del disordine cognitivo-relazionale con cui viene designato l’autismo, i componimenti poetici di Patrizia Sardisco vivono di “squarci lirici, citazioni, giochi di parole, talvolta esasperati (ma è un segnale del coinvolgimento dell’io lirico fin nelle pieghe più inconfessabili)”, ancora Anna Maria Curci. Dunque, una scrittura appassionatamente coinvolta da una sofferenza che non ha la parola per dirsi, la sofferenza inintelleggibile di un piccolo essere chiuso in un mondo a parte; una scrittura tesa, icastica che si immerge nel disordine psico-motorio e cognitivo attraverso l’osservazione e la descrizione dei movimenti scomposti, non coordinati degli arti, dei piedi alati divine particelle/in moto sghembo in ascesa poi/la planata/ sei atterrata estranea esausta/ straniati gli arti/crudi arrochiti alberi le mani/(…)/(…) ammainate issate/contrariate contratte aperte e chiuse. La voce della poetessa è, allora, voce vicaria, supplente laddove la comunicazione verbale con l’altro è ridotta o del tutto assente, e nulla o quasi può la pedagogia salvifica: e dunque Cosa non sei cosa non puoi/ essere e divenire/ per oggettiva documentaria/ gnosi rigorosa, dice a quell’io non cosciente, un io che risponde come può, un semplice abbraccio che tuttavia non può lenire il senso di impotenza, di inadeguatezza dell’altro: fai bene a stringermi innocenza/non lasciarmi cadere/dalla mancanza mia di altezza.
Maria Gabriella Canfarelli
Patrizia Sardisco è nata a Monreale dove tuttora vive. Laureata in Psicologia, specializzata in Didattica Speciale, lavora in un liceo di Palermo. Scrive in lingua italiana e in dialetto siciliano. Sue liriche e alcuni racconti brevi compaiono in antologie, riviste e blog letterari. Nel 2016 ha pubblicato, per i tipi di Plumelia, la silloge in dialetto Crivu, vincitrice del Premio Internazionale “Città di Marineo” e menzionata al Premio “Di Liegro” di Roma. Nel 2018 si è aggiudicata il Premio “Montano” nella sezione “Una prosa breve”. Nello stesso anno, per le Edizioni Cofine, ha dato alle stampe la sua prima pubblicazione in lingua italiana, eu-nuca, con prefazione di Anna Maria Curci, finalista al Premio “Bologna in lettere” 2019.
Pubblicato il 9 febbraio 2020