Un luogo geograficamente definito – il Bosco del Cansiglio del versante trevigiano – è lo spazio privilegiato dell’incessante riflessione poetica che si snoda in diverse opere di Pier Franco Uliana, da Sylva -ae del 1985, a Troi de Tafarèli del 2001, a Il Bosco e i Varchi del 2015, solo per citarne alcune. Nei testi di Per una selva questo paesaggio incarna letteralmente – considerate le frequenti personificazioni della natura – e simbolicamente l’essere umano con la sua caducità e il divenire con il rinnovarsi delle stagioni: «I ran fa man de mare nte la sera / che la mor, nte l’ària che la li piega / vèrs de noaltri, i par squaṣi rincurarne, / vèrđer la voẑe a ’n mondo sènpro novo» (I rami come mani di madre nella sera / che muore, nella brezza che li piega / verso di noi, sembrano quasi cullarci, / aprire la voce ad un mondo sempre nuovo).
Intorno alla “selva” si sono sedimentati motivi fondanti della nostra letteratura e suggestioni antropologiche, che continuano ad agire nell’immaginario di chi sappia porsi nel giusto punto di osservazione. Per Uliana è «l’orivo», cioè il limitare del bosco, dove «da un lato ascolti la voce degli uomini / e dall’altro senti il fiato degli alberi, / qui tutto ha la direzione della vita», poiché tutto partecipa allo stesso respiro. Un altro topos ampiamente presente è la «ciarèla» (radura, da ciaro ‘chiaro’), spazio aperto nel fitto della vegetazione dove giunge la luce: una «radura della mente», dunque. Qui non ci si perde nella selva oscura ma si procede alla ricerca dei significati insiti nella natura e che, attraverso di lei, si svelano. Ne è emblema il primo testo, con l’ammansirsi delle «fiere» interiori e il farsi più luminoso del bosco. Viene spontaneo ricordare i Claros del bosque di María Zambrano, per l’immagine in sé e per ciò che questo luogo suggerisce a chi lo percorra con i sensi pronti a captarne gli aspetti reali e reconditi, un atteggiamento simile ad una aspirazione amorosa verso un oggetto che resta indefinito e si manifesta a tratti, sempre sfuggente, se non fuggitivo: la donna amata, la poesia, l’intima essenza della vita. O tutte insieme, in un intreccio di voci e suoni, di ricordi e rimandi, di pensieri e sensazioni.
Il bosco stesso appare nella duplice veste di spazio di riflessione sulla realtà concreta e vissuta, e di superficie che riflette: «Il bosco ha occhi, occhiate che frugano, / foglie come specchi che tutto riflettono, cielo / e terra, ha visto il capriolo abortire, / l’uccello ferito, sbranare il partigiano, / farsi fradici i ciclamini e poi marcire». A ragione Giorgio Agamben nella prefazione sottolinea come “Uliana moltiplica l’ambivalenza semantica della sua lingua-foresta”. È una poesia colta e profonda, creata attraverso una lingua che «la sà đa salvàrego» (odora di selvatico), «la é massa chiza» (un idioma avaro di parole). Il poeta la paragona alla pianta del corniolo, che non è albero ma neanche cespuglio, di legno rustico e duro e dai luccicanti frutti rossi che la «lingua per un po’ allappano, / ma con un dolciore che tutto dice dell’amore».
Tanti temi si compenetrano in questa raccolta poetica, con una tendenza più meditante nella prima parte, dove dall’elemento naturalistico scaturisce la complessità dell’esistenza che mescola momenti di panica pienezza all’apparire improvviso del dolore, «un lamento che non so tradurre». E basta un ciuffo di chiodini cresciuti dove c’erano alberi sradicati «ad ingentilire il luogo, / a dargli la misura della voglia / di vivere e l’illusione del durare». La seconda parte è più incline a una stilnovistica dolcezza, con testi dall’atmosfera provenzale e dialoghi da villotta pastorale, una sottile autoironia racchiusa in frasi gergali, senza trascurare ricordi di altre stagioni e di persone con la loro storia.
Da sempre attento alla resa stilistica, in Per una selva Pier Franco Uliana raggiunge una particolare coesione tematica ed espressiva. Se le molteplici esperienze e le variegate immagini trovano nel Bosco del Cansiglio la loro sorgente e direzione, la forma del sonetto liberamente modulato diviene una duttile cornice entro cui inseguire e tradurre il ritmo e la natura della vita: «ma no l’é stat deṣbant / zercarte, che ti tu èra ntel respir / che ’l se consuma solche par butar (…) ti tu èra l’istessa / paròla che butée in avanti e che / galiva la caschéa đa đrìo đe mi» (ma non è stato vano / il cercarti, tu eri nel respiro / che si consuma solo per germogliare (…) tu eri la stessa / parola che buttavo in avanti e che / ordinata ricadeva dietro di me).
Pier Franco Uliana, Per una selva, Vittorio Veneto, Dario De Bastiani Editore, 2018
Nelvia Di Monte
Pubblicato il 30 aprile 2019