Non ci sono monopattini, biciclette, né mezzi di trasporto elettrici che tengano. Il solo modo di godersi appieno le bellezze della città (soprattutto della periferia), rispettando l’ambiente e scoprendone al tempo stesso tutte le sfumature, è l’evergreen capitolino S & T, ovvero suole e tacchi. Ne è convinto Vincenzo Luciani, autore de “La mia Roma a piedi” (Edizioni Cofine), un autentico diario di due anni di viaggi dell’autore in una Capitale che ingloba cento città e che non finisce mai. «Chi cammina vede meglio. E poi camminare favorisce la circolazione sanguigna, rigenera il cervello e consente di pensare e riflettere. Diciamo che è un racconto fatto con i piedi, quindi umile, sincero, appassionato attraverso una Roma che tante ne ha viste e tante ancora ne vedrà», spiega Luciani.
Una sorta di trekking urbano fai da te, quello dello scrittore trapiantato a Roma nel 1975, precursore della free press capitolina e ancora oggi direttore di uno dei giornali storici, Abitare A, che negli anni ha rappresentato un’autentica fucina di giornalisti. Il suo obiettivo? Creare occasioni per avvicinarsi a un nuovo uso degli spazi e a un nuovo modo
di vivere l’Urbe. Con l’occhio vigile del cronista, descrive i suoi sopralluoghi meticolosamente e con passione civile, non arrendendosi di fronte al degrado. Anzi, lo denuncia descrivendolo nel minimo dettaglio. Sa cogliere ed esaltare, inoltre, anche il bello di una Roma dal fascino sfuggente, insolita ed ignota, anche a chi ci vive da moltissimi anni.
Attraversando i luoghi, compie un esercizio costante della memoria, stimolata da scorci, visioni, colori, odori, incontri reali ed immaginari, con un collegamento insistito, con persone e luoghi attraversati, da quelli mitici dell’infanzia garganica fino agli ultimi anni 47 anni vissuti in loco, di cui 36 da giornalista dell’hinterland con il quale ha un rapporto speciale e nelle cui strade e parchi prosegue il suo incessante esercizio pedestre. Neanche il periodo più buio della pandemia lo ha fermato: «Il 15 marzo 2020 mattina, dalle ore 8 alle 10, in veste di podista giornalista, osservando le prescritte distanze con ogni essere umano, ed evitando di toccare cose e oggetti, ho percorso a piedi, come sempre, questo itinerario: via Matteo Tondi, via Pietralata, via Tiburtina fino all’altezza di via delle Cave di Pietralata (sul lato destro) e ritorno su via Tiburtina, sull’altro lato della via, e poi su via dei Monti Tiburtini, via Pomona, via di Pietralata, via Tondi», scrive l’autore.
«Le strade di questa mia Roma si presentavano deserte e con poche persone e, per giunta, molto accigliate, parecchie mascherate e nessuno ha risposto al mio saluto di buongiorno. Anzi più di qualcuno mi ha guardato con sospetto, nonostante la mia distanza fosse più che regolamentare. In questa città purtroppo si è persa l’abitudine di rispondere a un saluto, figuriamoci scambiare un sorriso». Poi racconta che le file davanti ai supermercati e ipermercati: «Si erano formate in maniera ordinata e rassegnata, mantenendo una distanza superiore a quella regolamentare. Ho constatato che la periferia non è blindata come dicono i Tg. Le strade mi sono apparse desolatamente desertificate.
Pensate, ho potuto fotografare la via Tiburtina dal centro strada, comodamente, senza temere che una macchina o un bus mi investisse. Mi auguro che questa condizione cambi e che la vita riprenda presto e bene, anche se con un po’ più di smog».
Quella descritta da Luciani non è la città ideale, dove c’è un centro urbano compatto, con case, uffici, negozi e servizi tutti vicini tra loro e “walking distance”, ovvero a una distanza tale gli uni dagli altri da poter tranquillamente muoversi a piedi per ogni necessità. Oppure una città con piste ciclabili e infrastrutture ad hoc per proteggere ciclisti e pedoni da incidenti stradali. Un nucleo urbano dove uscendo da casa si trova subito nell’arco di pochi metri una fermata di bus o metro per essere facilmente collegati dal trasporto pubblico a luoghi lontani e quindi non necessitare di muoversi con la propria auto. Quella del direttore di Abitare A è una città dove ci si può accomodare su una panchina sgangherata e dedicarsi un selfie «in cui cerco di esprimere la mia felicità di poter dedicare queste ore del mattino all’”Amore per Vincenzo”. Infatti è da sempre per me importante ogni giorno dedicarmi tempo per la mia felicità, per fare cose che mi rendono felice. E pratico, in questo atto di amore quotidiano per me, l’insegnamento evangelico: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. E per amare chi ci circonda e ci è prossimo bisogna prima amare se stessi e poi amare gli altri come se stessi. Purtroppo la seconda parte dell’insegnamento divino mi riesce spesso meno bene». Certamente l’amore che non è mai venuto meno è quello per la sua città e la passione di percorrerla in lungo e largo a piedi.
Davide Dionisi
Recensione apparsa su L’Osservatore Romano del 16 luglio 2022