Parole nuove sulla storia dell’universo. Poesie 1971-2024 di Maurizio Mazzurco

Recensione di Maria Lenti

 

L’universo di Maurizio Mazzurco, confinato nel nostro mondo, è grande e ci contiene con ogni nostro fare o non fare, costruire o demolire, esserci o meno con l’amore e il disamore: il buono e il meno buono, insomma, dell’agire umano.

E il nuovo delle parole, ricapate nei cinquant’anni della propria vicenda, converge su un desiderio di diversità del vivere, proprio il contrario di uno stallo determinato o definito a priori:

 

Il mio cuore borghese batte ancora

in versi dopo più di cinquant’anni.

Il nostro corpo che allora era già vecchio

è sempre più legato a questa terra

ma non s’è mai trovata via d’uscita,

la prima e ultima crisi è già matura.

La lunga e tortuosa strada

porta a una piccola stazione smarrita

nella campagna.

Su un binario morto sta un vagone. (…)

(“Il mio cuore borghese”, p. 106).

 

La diversità permetterebbe un bianco esserci in cui l’insiemità  risulterebbe comunità di intenti nei percorsi e di sguardi in avanti, se non rivoluzionando l’esistente certamente razionalizzandolo al meglio. Ma…

L’avversativa introduce, appunto, lo scarto e la stasi, gli scalini. Rimanda, a volte, alla ricerca dentro la memoria di un vissuto, o un non vissuto tuttavia pensato, sognato, da ritrovare, magari, nella piccola patria del nostro nascere e crescere (Udine, per Mazzurco: “Piccola patria”, p. 127); richiama talora valori fondanti (“Non usa più (vergogna)”, p. 126; “Canzone nuziale”, p.  61; “L’altro ieri notte”, p.  47) come la vicinanza a un’interiorità solare, alla fedeltà, all’amore, al senso di umanità, alla pietà, alla pace tra individui e Stati, al piacere del bello, al rispetto della vita, al rifiuto delle armi reali e metaforiche, “alla bella famiglia d’erbe e d’animali” per dirla con Ugo Foscolo.

Qua e là, a rendere lo sconcerto del passaggio nel quotidiano accidentato di suo, ironia (“Pietà di noi”, p. 177) e intenerimento (per es. in “Triduo e ritorno a Emmaus”, p. 137, “La visita”, p. 62, “La fiera in agonia – dalla sezione Le parole antiche, – : «(…) Non ascoltar le voci /  e gli echi lontani / ripetersi e svanire. / Non inseguirli: / mai più vicini, sempre diversi  / li sentirai.» (p. 43)

La poesia dell’universo di Maurizio Mazzurco, nei suoi versi larghi, dettagliati, necessitati a non tralasciare nulla di un pensiero vòlto all’eticità e al sentimento umanamente luminoso della gioia di vivere ma anche della malinconia del suo estinguersi o del trascorrere, lento o veloce, del tempo, così come dell’irrimediabilità delle perdite per età e per crudeltà esistenziale, si dipana nel suo mezzo secolo in una continuità stilistica sorprendente: positivamente sorprendente per l’impulso da cui è mossa, quello di un affetto verso sé, verso i suoi simili, creature di un mondo di tutte (e di un universo per tutte) in cui le differenze esteriori, provocate proditoriamente, si annullano attraverso le innate uguaglianze dell’origine.

 

Maurizio Mazzurco, Parole nuove sulla storia dell’universo. Poesie 1971-2024, Roma, Ensemble 2024, pp. 198, € 16.00