Ombretta Ciurnelli: Lippe lappe. Cento quartine in lingua perugina

Recensione di Nelvia Di Monte

 

Vento è una parola ricorrente nella scrittura poetica di Ombretta Ciurnelli, un lungo percorso iniziato nel 2007 con gli acrostici di Badarellasse ncle parole, poi con le poesie di Si curron le formiche (2010) e La città del vento (2013) che già nel titolo riprende l’immagine dell’aria e del suo incessante movimento: E curre supra / ’l vèrde di lichene / ’l fiaton del tempo / nton rispir del vento (E corre sopra / il verde dei licheni / l’affanno del tempo / in un respiro del vento). 

Spiegando i molteplici significati di gí e ní (titolo della successiva raccolta del 2020), Ombretta Ciurnelli mostra come questo “andirivieni” possa “divenire allegoria dell’esistere” e come i due termini colgano “la ricorsività di fenomeni naturali o cosmici”. E religiosi, suggerisce la citazione dal Qohélet posta in esergo: «Un vaevieni di generazioni / E la terra che sta nel tempo […] Dopo giri su giri / Il vento ricomincia il suo girare».  Il vorticare dell’aria annoda il respiro della vita e le sue difficoltà, nel volgere quotidiano del sole come nton quil del vento che giran-giranno / tignoso archiappa sempre ’l su currí / s’aposerà cinino ’l tu gí e ní, / nó  zòffio fino che nissún s’acòrge (in quello del vento che girando-girando / ostinato riprende sempre la sua corsa / si poserà piccolo il tuo affanno, / un soffio sottile di cui nessuno si accorge). 

Nella variegata stratificazione delle parole del dialetto di Perugia, la locuzione lippe lappe del titolo della nuova raccolta può indicare “sia il senso della precarietà sia quello dell’indeterminatezza”. Non è dunque casuale che sia il vento ad accoglierci nel primo testo: ènno bompò i tu giorne ardunate / a dí dî gir del sole e de la luna / del gí del vento e del turchín ch’arcòra / dl’amor dle ranzle e de le languizzione (sono tanti i tuoi giorni riuniti / a raccontare dei giri del sole e della luna / del soffiare del vento e dell’azzurro che rincuora / degli amori dei rancori e delle nostalgie). Un testo che è forse il miglior compendio di quanto si incontra nei testi successivi, il soffermarsi sui giorni passati quasi per raccontarseli – così – tra sé e sé, l’accorgersi che scivola un pensiero nuovo sopra un altro, o che nella memoria dondolano volti come fossero foglie. 

La scrittura, che nelle precedenti raccolte variava libera per metrica e lunghezza dei testi, qui si concentra in quartine di endecasillabi, una misura che si presta a racchiudere un singolo argomento, un’immagine, una riflessione. Mentre tutto scorre via rapidamente, nel turbinio di esperienze che si affrontano giorno per giorno, poter fissare momenti significativi, pensieri fugaci, ricordi e sensazioni sul punto di sbiadire è il compito che la poesia si impegna a svolgere. Nell’apparente semplificarsi dei testi, nel loro concentrarsi in pochi versi, emerge la forza di questa scrittura, la tenace resistenza di chi sa di poter contare su una lingua, il dialetto, in grado di esprimere contemporaneamente il mondo e la propria interiorità: ’n parlè “forestco aguzzo contadino” / che na volta arsonèva gran fatighe / è bono a dí ji ntruje de sto tempo / e ncó ’l gí e ní dla luna nti tu giorne (un parlare scontroso tagliente contadino / che un tempo dava voce a grandi fatiche / è capace di raccontare gli imbrogli di questo tempo / e anche il sorgere e il tramontare della luna nei tuoi giorni).  

Molteplici sono gli argomenti toccati, le esperienze dell’infanzia, gli sguardi sulla natura e il mutare delle stagioni, la presenza di chi non c’è più, il percepire l’avvicinarsi del tramonto quando giognerà ’l giorno che nn’ariva a sera (verrà il giorno che non arriva a sera). Intenso e sincero appare il dialogo ininterrotto con altri/e autori/autrici, con brevi citazioni che Ombretta Ciurnelli accoglie dentro i propri versi, uno scambio fecondo e un riconoscimento della vicinanza dell’altro in un esserci condiviso, quale dovrebbe essere la letteratura. 

Molteplici pure le tonalità e le atmosfere create da quartine dove prevale a tratti un senso di amarezza per ciò che si perde, ma senza rancore, un accogliere quanto la vita ha offerto consapevoli che s’amischia quil ch’è stato e quil che nn’è / storie vertiere ncon profaqle antiche / ’l gòito di motte e dî silenzie ’l carco / na bastigna d’amore e ’n súmmio antico (si mescola quello che è stato e quello che non è / storie vere con favole antiche / il vuoto delle parole e dei silenzi il peso / una “bestemmia d’amore” e un sogno antico). 

Nelvia Di Monte

Ombretta Ciurnelli  Lippe lappe. Cento quartine in lingua perugina, Edizioni Era Nuova, PG, 2023