Come è vero che la cenere del legno è un ottimo concime per le piante e in particolare per l’orto, la cenere dei giochi dell’infanzia è un “concime” altrettanto fecondo: aiuta a formarsi, e a poetare se si possiede anche questo dono. A condizione di “non sostare troppo a lungo/nella zona retrostante/ alla linea di memoria quasi certa” e per Irene Sabetta questa linea non deve essere “oltre il confine dei dieci-otto anni/” altrimenti ci si infrange “nell’io sconosciuto/ e ancora maldestro/ che fa a brandelli/ la conoscenza immune da delusione”. Tra l’infanzia e le età successive della vita il tempo non procede in una sola direzione: “nessuno conosce il passato che lo aspetta” quando lo rileggerà o rivivrà con altro cuore e altri occhi; d’altronde, nel caso dell’Autrice, i piani del tempo sembrano disallineati, al modo di quelli della coscienza personale“Astraggo dall’io/ per essere me stessa./ Myself. Sono mia / ma non mi voglio.” Non è una dissociazione, ma un’astrazione: come dalla cenere dei giochi astrae la sostanza di quelli e di quel tempo, ella astrae dall’io, anche se, in tal modo, non le sembra di realizzare la perfezione che pensiamo, piuttosto l’imperfezione che siamo.
La consuetudine di Irene Sabetta con la poesia mi sembra del tutto particolare: “Se camminassi sulle parole/ la tua poesia reggerebbe il peso.” Parole robuste, resistenti, per raschiare, piantare chiodi, costruire, impastare: “Finalmente parole utili”. Ma nella pagina a fronte ecco che “La coda mozza di una poesia/ disturba la quiete del mare/…e la percezione dell’io/ inviolabile” e insidia “il benessere”. Dunque l’ideazione e la costruzione poetica sono dolorose, fastidiose, stranianti per quello che fanno emergere dal passato “che ci aspetta” e che non conosciamo, ancora una volta.
E poi, ecco la poesia che “attraversa i muri” dopo essersi alzata, e camminare “libera e scalza”: il potere magico- misterico della poesia che attraversa le barriere e gli schermi fuori e dentro noi; che si alza – come non ricordare “Vola alta parola” di Luzi?- e cammina scalza con passi silenziosi ma calcanti un’orma, poveri nella ricchezza dell’autenticità. La poesia è anche possibilità, sogno, arte della trasformazione e insieme “risveglio (che) è un salto da fare” dopo “aver dormito male e sognato peggio”.
Nella “Cenere dei giochi” entra anche l’esperienza della sofferenza, della malattia: “la passività del marinaio/ nel mare in tempesta/ e il volo dell’albatro/ ignaro del marinaio/ si parlano a mezz’aria”- inaspettate e sconosciute risorse nel dialogo a distanza tra la passività del corpo e l’irrazionale librarsi in alto – leggerezza e consapevolezza – che si vuole far durare più della speranza “Non intendo cedere. Che muoia prima la speranza!”
L’esperienza del cancro, un insieme di malattie subdole e per questo “maligne” che “sminuzzano la percezione della storia, /perforano gli affetti, bucano i pensieri.” quanto reale quest’immagine! Tra controlli e terapie la vita è frammentata, gli affetti e i pensieri sono pieni di vuoti e amnesie che li snaturano e li rendono incapaci di opporsi al vento del male. L’unico bisogno, il più grande, è quello dell’acqua e solo acqua“Datemi da bere/ ma non mettete medicine nel bicchiere.” per ritrovare il luogo del benessere primigenio- l’utero materno- e ridare sostanza al corpo e tornare a percepire la vita.
Acqua, contenitore e contenuto vitale, come il mare che “in fondo non è lontano è solo alla fine della strada la via Civita Farnese che parte in montagna e finisce al mare”; come la poesia “al verso libero/ che scorre ma non fluisce/ che cura ma non guarisce / fino all’ultimo treno/ fino all’ultima lettera/ da scrivere e cancellare.” Acqua che torna prepotente nel ciclo del tempo a rivitalizzare proprio la cenere.
Riscatteremo i nostri anni dell’università
per non cedere il passo agli acciacchi.
Imporrò al mio corpo
una dieta ferrea.
Benderò gli animali che ho in casa
e coprirò gli specchi e le pareti riflettenti.
Non conterò più i mesi
che mi separano dalle mie figlie.
Sento qualcosa che sii assottiglia
come l’elastico di una fionda tesa,
un frutto dopo che hai tolto la buccia,
le caviglie di mia madre,
un limone spremuto.
Me
Astraggo dall’io
per essere me stessa.
Myself. Sono mia
ma non mi voglio.
Identità di carta velina.
Non fate caso alla foto.
E’ uscita male.
Tutti noi siamo usciti male,
perfetti come pensiamo di essere,
imperfetti come siamo.
Colpa di Amleto!
Colpa del fotografo,
dell’anima perplessa,
della smorfia di dolore
sul lettino del parto.
Colpa della formula dimenticata,
di questa cosa che deve essere
continuata…
Eva
Questo dovrebbe essere il luogo della restituzione
dove le foglie cadute tornano a germogliare sugli alberi
e le donne a cantare dopo il parto.
Dovrebbe essere il luogo degli animali
la casa senza finestre dei gechi notturni,
la gratitudine seduta in piazza
ad aspettare il fresco della sera.
Questa dovrebbe essere l’unica terra
da dissodare con l’arte magica della trasformazione senza reticenze,
il luogo spoglio della tempesta che dilavava gli abiti e le abitudini
e restituisce al re buffone la corona.
rene Sabetta “Nella cenere dei giochi” Ed. La Vita Felice, Milano, 2022
Irene Sabetta vive ad Alatri, dove insegna Lingua e letteratura inglese al liceo. A scuola coordina anche da molti anni un laboratorio teatrale. Suoi testi sono presenti su diversi blog, in antologie curate da vari editori, in poemi collettivi e riviste letterarie on line e cartacee. Nel 2018 la casa editrice LietoColle ha scelto alcune sue poesie per l’Antologia iPoet. Nello stesso anno è uscita, per le Edizioni EscaMontage, la plaquette Inconcludendo. Nel 2020 ha pubblicato la raccolta Il mondo visto da vicino (Il Convivio Editore), con la prefazione di Beppe Sebaste. Collabora con la rivista periodica Formafluens – International Literary Magazine, diretta da Tiziana Colusso, e con Poetanza Web Radio. Partecipa a reading e maratone poetiche.
Maurizio Rossi 20/4/2023