(giugno 2006) – Menzi storii (Mezze storie), di Renato Pennisi, Premio nazionale Città d’Ischitella-Pietro Giannone 2006, Edizioni Cofine, Roma, pp. 32, euro 6,00
—————————————————
La raccolta in dialetto siciliano Menzi storii (Mezze storie) di Renato Pennisi ha vinto il Premio nazionale di poesia nei dialetti d’Italia “Città d’Ischitella-Pietro Giannone” edizione 2006.
Perché questo titolo? “Perché – come sottolinea la motivazione della Giuria presieduta dal prof. Dante Della Terza – non c’è storia che non rimanga a metà, perché non c’è racconto che possa raggiungere mete globalmente coinvolgenti. Le storie nostre sono frammenti dell’anima: bisogna escludere dalla scrittura illusioni totalizzanti”.
Perché – dice lo stesso Pennisi – “Io ne ho più d’una di mezze storie, / e se le metto insieme fanno sempre / mezza storia, mezza più mezza / più mezza totale mezza storia / è legge matematica…”
I lettori sperimenteranno che queste mezze storie sono totalmente coinvolgenti, da leggere tutte per intero.
PUOI SCARICARE IL LIBRO IN FORMATO PDF
—————————————————————–
L’AUTORE
RENATO PENNISI è nato a Catania nel 1957. “Premio Eugenio Montale” nel 1986 per la poesia inedita con la raccolta Letture senza spartito, poi inserita nell’antologia 7 Poeti del Premio Montale (Scheiwiller 1987), ha successivamente pubblicato i libri di poesia La correzione del saggio (Tringale 1990, nella collana diretta da Sebastiano Addamo), Allancallaria (in dialetto siciliano, Prova d’Autore 2001, Premio Vann’Antò-Saitta), e Mai più e ancora (Edizioni l’Obliquo 2003).
Ha inoltre pubblicato i romanzi Libro dell’amore profondo (Prova d’Autore 1999) e La prigione di ghiaccio (ibidem 2002)
—————————————————————–
DAL LIBRO
L cumeta
I
Partevanu dicennusi o stannu muti
sti jiurnati, tutti stritti
scantati, c’era suli sì
e macari friddu, chiddu ca veni
doppu non havi culuri
né jancu né niuru, l’occhiu
non vidi, lu cori non batti,
lu pettu non ciata, nenti
ci ha statu, nenti ci po’ essiri.
Ma Catania havi na strata
ca la spacca dritta ’n dui,
na strata tutta niura, tutta cresi,
tutta malocchi, vuciliziu,
tutta acchianata, na strata
ritta ma ti cci perdi,
ti cunfunni, cchiù
vai avanti cchiù sì persu
cchiù sì sulu,
ccà è ’n munnu fintu, ’n occhiatura,
ccà tuttu pari essiri e non c’è nenti.
Ma nascii ccà
e puteva jiri peiju,
me patri di notti travagghiava
a lu dazziu,
non c’era mai,
ju aveva ’n triciclu russu
e faceva avanti e arreri
nta lu balcuni a zig zag
di la casa di via Dalmazia,
terzu pianu, facciata jianca
jianca comu ora ca staju scrivennu.
Un jiornu, si cci hai tempu, pà,
fammilla na cumeta,
cusemula ’nsemi ccu spagu,
colla, carta villina,
scrivemuci na parola
e jittamula auta, pà,
supra l’autri cumeti
nta stu celu ’n festa, si cci hai tempu.
(…)
L’AQUILONE – I – Partivano parlandosi o stando zitti / questi giorni, tutti insieme / spaventati, c’era il sole sì / e pure freddo, il futuro / non ha colore / né bianco né nero, l’occhio / non vede, il cuore non batte, / il petto non respira, niente / c’è stato, niente ci può essere. / Ma Catania ha una strada / che la spacca in due, / una strada tutta nera, tutta chiese, / tutta malocchi, confusione, / tutta in salita, una strada / dritta ma ti ci perdi, / ti confondi, più / vai avanti più sei smarrito / più sei solo, / qui c’è un mondo finto, un incantesimo, / qui sembra che c’è tutto e non c’è niente. / Ma sia sono nato qui, / e poteva andare peggio, / mio padre di notte lavorava / al dazio, / non c’era mai, / io avevo un triciclo rosso / e facevo avanti e indietro / nel balcone a zig zag / della casa di via Dalmazia, / terzo piano, facciata bianca / bianca come adesso che sto scrivendo. / Un giorno, se hai tempo, papà, / costruiscimelo un aquilone, / cuciamolo insieme con spago, / colla, carta velina, / scriviamoci una parola / e lanciamola alta, papà, / sopra gli altri aquiloni / in questo cielo in festa, se hai tempo. (…)
—————————————————————–
Nota dell’autore – L’idea di scrivere la suite “La cumeta” mi ha rincorso per molti anni. Ma penso che sia stata la scomparsa nel 2002 del poeta Salvo Basso ad avermi dato lo slancio, forse la disperazione necessaria.
Nello scritto aleggiano alcuni dei benevoli fantasmi che mi accompagnano e mi guidano fino a oggi. Da Ettore Iaci (Catania 1956–1980), l’amico degli anni al Liceo Classico Cutelli, l’unico in tutto l’istituto ad avere nove in matematica e in fisica, che voleva scrivere un romanzo ma non ne ebbe il tempo. E poi Antonino Bulla (Adrano 1914–Catania 1991), curiosa figura di poeta dialettale, mago e inventore. Scrisse molti libri di poesia tra cui Canti a lu ventu (1972) e Rosi e Ruvetti (1981). Recentemente il Comune di Catania gli ha dedicato una piazzetta nel quartiere di Canalicchio, dove viveva. Armando Patti (Catania 1914-Roma 1997) fu poeta raffinato e coltissimo. All’inizio degli anni ottanta lo andavo a trovare ogni sabato pomeriggio nella sua casa catanese di via Salvatore Paola. Notevoli, tra i suoi libri Terra d’uomo (Rebellato 1978), che contiene la poesia “Per Aria” da cui è tratto il verso “mi cresco spazio nelle carni” citato nel testo, Un punto fuori pagina (Lacaita 1983) e il postumo Un orologio vuoto (Il Girasole Edizioni 1998). Ricordo gli anni della frequentazione con Armando Patti, sua moglie Velia, e successivamente con Sebastiano Addamo (Catania 1925-2000) con nostalgia e rimpianto. Addamo mi aiutò leggere e a comprendere gli autori mitteleuropei, e ad apprezzare la forza culturale delle c.d. “periferie”. Importanti, nella sua vasta produzione, il romanzo Il giudizio della sera (1974) e i libri di poesia Il giro della vite (1983) e Le linee della mano (1990), tutti pubblicati da Garzanti.
Nel 1990 conobbi Salvo Basso (Giarre 1963–Scordia 2002). Collaboravamo entrambi a una rivista di letteratura che si chiamava “Via Lattea” e che si pubblicava a Catania. Basso scrisse soprattutto in dialetto. Dui (1999) e Ccamaffari (2002), pubblicati da Prova d’Autore, e qo (1999) e il postumo Libro Necessario (2004), pubblicati dalle Edizioni l’Obliquo, sono i suoi libri di poesia maggiori.