Maria Gabriella Canfarelli è nata Catania nel 1954. Ha pubblicato i libri di poesia: Domicilio (Nuovi Quaderni, San Gimigliano 1999 – prefazione di Maria Attanasio), Cattiva educazione (Roma, Zone editrice, 2002 – Prefazione di Antonio Di Mauro), Zona di ascolto (Bologna, Giraldi, 2005 –prefazione di Ivan Fedeli), L’erborista (Imprimatur, Mineo, 2010 – prefazione di Alessandro Di Prima). Sue poesie sono apparse sulle riviste Pagine, Le voci della luna, Atelier, Quaderni di Arenaria. Ha curato, dal 2006 al 2009 la rassegna Poesia siciliana contemporanea per la rivista Pagine.
Le poesie di Maria Gabriella Canfarelli
Da Domicilio
In polvere sepolto si moltiplica,
in bocca screpolata. Dov’è
il centro, adesso, dove
periferia che per arti tornava
alla curva convessa del cranio?
Penso a un punto
che interra nella buca
lettere morte e foglie.
Mentre si veste fintallegra
per uscire di senno
versa nerodichina nel coccio
(il falsocielo raso terra
inchioda la cantilena
oziosa del fritto
sulle piastrelle
del vanocucina)
batte da ieri sera
faccia a faccia
impigliata di te
la cartastraccia
nel primo caffè.
Da Cattiva educazione
Mi pareva che il sonno rigirasse
nella sua scorza molle filamenti
sparsi di notte dentro le giunture:
ma nel mare di fronte, nella
camera scura, bassi
dormivano pesci nel tondo
di un oblò sottomarino, altre
dentate a fil di lama pinne,
nero sbadiglio e taglio in acqua
fonda, sacco pareva
rivoltato o guanto.
Ti metto
sulla punta delle scarpe
giorno che te ne vai
e bene allineate
dormiranno
il tempo intero
senza temere il freddo
dei miei piedi
e dell’osso che sporge.
Inanimate
le scarpe
non sentiranno
l’altra metà della notte
il passo alzato cercare
la porzione di sonno
derubato.
Da Zona di ascolto
Già sfitta e resa
debole di cuore, e
tutt’orecchi il vento si figura
alzato tendersi, chiudere
la porta, infilzare una fitta
imbrattando senz’ordine l’appello
contro il muro
con la sua voce corta,
con le mani che prega
di spolverare l’aria liberata.
Larga bocca struccata
e sfatta buca nello specchio
incrociato alla porta
oltre la quale fingere o morire
fissando un punto, un varco
da indossare: ma è cresciuto
stanotte nell’udito
d’un’altra spanna il lago,
pelle dagli occhi duri/che non ti sta a sentire.
Da L’erborista
Se infuria sotto i polsi
o in petto scalcia
il sangue intestardito,
giura sui santi che non tremerai
e chiama per le stanze
e dappertutto
la pallida spinosa tutta cuore
che spremerà tintura
da colmare la tazza
– se ti senti morire, se
non hai la forza
per digerire in una volta
il lutto.