Comincio in maniera ellittica a parlare di Silvio Ornella* citando un altro poeta come lui friulano, Pierluigi Cappello: «Quando io adopero il friulano, lo adopero per dare carne ai miei sogni, per dare carne in una maniera che l’italiano non potrebbe mai fare».
“Carne di sogni”, questo bellissimo ossimoro, può essere l’estrema sintesi della plaquette Il paesagiu sculpìt (grafiche Sedran, San Vito al Tagliamento (Pn), 2007), la terza pubblicazione in ordine di tempo, dopo Rudinàs e Úa uva, del poeta Silvio Ornella: piccolo volume di poche poesie da “compitare” come un nuovo, straordinario abbecedario. Mi piace la misura del “piccolo”presente in questi versi, che è anche modo di porsi nel mondo. Mi piace il necessario silenzio fra un componimento e l’altro, scandito da 10 acqueforti di Loris Cordenos, che sono come stazioni della poesia (ne sottolineano i dettagli, rendono il tutto più prezioso). Mi piace il legame intimo con la natura, con un certo mondo contadino, composto da poche figure sacrali: l’albero, la terra, l’insetto, le stagioni. Un mondo di primitiva magia, rimandato intatto dall’infanzia. Si respira un’aria rarefatta, che non ho nessuna remora ad avvicinare alla filosofia zen, all’estetica zen, laddove il vuoto è più importante del pieno, dove l’assenza diventa essenza e il dettaglio universo intero. Come nella poesia Rigina: «La sopa da li rigina/è ché cu la rosada in sima/fata di erba e ciera/corona di aga e seda./Ic a conòs/il su e iù dal farc/e ‘l glinghinà dal vièr/cuàn ch’a si slungia….» (La zolla della regina/è quella con la rugiada in cima/fatta di erba e terra/corona d’acqua e seta./Lei conosce l’andirivieni della talpa/e il tintinnio del lombrico/quando s’allunga…) In questo incipit il tempo sembra fermarsi davanti alla rinnovata creazione di una zolla di terra, “banale” miracolo di armonia poetica. Armonia riproposta dall’andamento del verso (un endecasillabo spezzato fatto apposta per le piccole cose, che mi ricorda quello di Franca Grisoni, molto più lieve e danzante dell’endecasillabo disteso). Silvio Ornella scrive nella lingua di Zoppola, un friulano occidentale con qualche sconfinamento fatto di ricordi molto personali, come nella poesia Un pan di aga: «…ti spetavin/coma la glant dal seìl/farina di lus/svualada di not/ ta la piera da la ciera/ta li grispis da la ciàr/ch’a trimava…» (…ti aspettavamo/come la manna dal cielo/farina di luce volata la notte/sulla pietra della terra/sulle rughe della carne/che tremava.…) «La parola glant è stata usata qui con il significato che la madre dava alla parola (un cibo delizioso)». Infatti, come lo stesso poeta dice, il suo è un idioletto. Che io accolgo in tutta la mia ignoranza, in tutta la sua apparente semplicità, che a volta diventa trasparenza, dove solo i versi di Sandro Penna sono riusciti ad arrivare. Esempio fra tutti, Fantassùs: «I socs da la plàtina a son/ fantassùs da la Grecia./Piera di lenc e fres’c coràn/mac di sgnerfs e mùscui serèns/ ta ses’c insumiàs:/sercià il pèis/par ciòighi pèis…» (I ceppi del platano sono/giovinetti della Grecia./ Pietra di legno e fresco cuoio/mazzo di nervi e muscoli sereni/in gesti immaginati:/saggiare il peso/per privarlo del peso).
La lingua dalle tante esse (dove la rugiada si chiama rosada) sembra scivolare sulla terra, lo sguardo passa dal basso verso l’alto, a volte Ornella diventa la stessa terra, un albero o un dettaglio di esso. Nella poesia Madrigal da l’unviàr il poeta è schiena di salice, corteccia di platano: «Il pantàn parsòt li siolis/i pas ta li sopis/ch’a si svèin/al curt soreli./Il grop di lenc/da li mans davòu la schena/la schena pleta dal vinciàr/parsora la curìnt./Il dolòu da la soca/ch’a sint il vuèit./ I sfueiùs inrissàs/ta la scussa da la plàtina/ch’i ti vorès lesi/-lesi e scrivi/altri no savìn fa-» (Il fango sotto le suole/i passi sulle zolle/che si svegliano al breve sole./Il nodo di legno/delle mani dietro la schiena/ la schiena china del salice/sopra la corrente./Il dolore del ceppo/che sente il vuoto./I biglietti arricciati/sulla corteccia del platano/che vorresti leggere/-leggere e scrivere/altro non sappiamo fare-)
Segue le intermittenze del cuore questo poeta “delle minoranze” in tutti i sensi, che fa l’insegnante di lettere, che ha per maestri Pasolini e Ida Vallerugo (come si evince dagli esergo al libro). E’ un uomo schivo che non usa il computer, che tiene il telefono come peso nelle tasche, forse per evitare di prendere il volo verso il cielo spesso corrucciato del suo paese, come un personaggio di Chagall.
Le parole di Ornella sono miceli sotterranei, una rete leggera, invisibile che raccoglie tutto il suo microcosmo, il suo paesaggio interiore in una sacra rappresentazione.
Vorrei aggiungere una notazione terra terra, che mi sta molto a cuore: questo piccolo volume ha visto la luce per merito e con il patrocinio della Provincia di Pordenone, dei Comuni di Zoppola e San Vito al Tagliamento, che hanno creduto nel valore della poesia. Vorrei che questo servisse da esempio per altre Provincie e per altri Comuni.
Così come ho cominciato finisco con le parole di Pierluigi Cappello, per descrivere il mio stato d’animo davanti alla poesia di Ornella: «…commuoversi non significa piangere, ma muoversi insieme alle cose, averne il medesimo ritmo, il medesimo passo, il medesimo polso….»
* Silvio Ornella si è classificato al secondo posto nel Concorso Ischitella- Pietro Giannone 2010 per una raccolta di poesie in lingua friulana il polver ta la mània (la polvere sulla manica), che presto vedremo pubblicata.
Anna Elisa De Gregorio
5 dicembre 2010