La tecnica della “dissolvenza” molto usata nelle riprese cinematografiche o nel montaggio e nelle presentazioni di immagini, consiste nella graduale scomparsa di un’immagine, sostituita altrettanto gradualmente da un’altra, e rientra nella categoria delle cosiddette transizioni, ovvero le modalità di passaggio da un’immagine all’altra. Ma è anche progressivo avvicinamento o allontanamento di un personaggio dal primo piano di una vicenda narrata. A questa duplice prospettiva la silloge di Lucianna Argentino ne aggiunge una terza: ogni vita da lei raccontata non si perde, ma si trasforma, assumendo una dimensione nuova, sebbene in continuità con la precedente. “Una donna non muore se da un’altra parte, un’altra donna, riprende il suo respiro” afferma l’Autrice, citando Helene Cixous, scrittrice e drammaturga da sempre impegnata nel movimento femminista. Un’altra donna, da un’altra parte, raccoglie l’eredità vitale e di pensiero, senza sostituirlesi, perché ogni donna, ogni persona, è unica.
L’intento della Argentino è dunque di restituire la vitalità perduta: ma, anziché rianimare il pensiero nel ricordo, lei rende il respiro, il soffio vitale (citando il poeta francese Joë Busquet).
Ciò ha ancor più valore, poiché avviene utilizzando la forma poetica, che nella scansione del ritmo e dei versi, respira: forma delicata e ricca, nel caso della Argentino, sicché il soffio infiamma, senza bruciare.
Quattro storie- vite, reali, segnate dal dolore che dissolve e ricrea in una “resurrezione” laica ma intrisa di una sacralità umana che “separa”, non isolando e rendendo irraggiungibile, ma ponendo in piena luce l’esperienza raccontata e rinnovata nello pneuma. Madre, Gestazione dell’addio, 1941 e Aurora/Sara, sono quattro monologhi- soliloqui, in cui altrettante figure femminili prendono coscienza e scelgono l’esito, senza tuttavia piegarsi al destino. La madre- Rita Fedrizzi – che non rinuncia alla vita, ma la grida e la celebra nel mettere al mondo la propria creatura, anziché curarsi ; la donna vittima di violenza- Valentina Cavalli – che quasi partorisce dopo una lunga dolorosissima gestazione il proprio suicidio; Virginia Woolf e Marina Cvetaeva che, uccidendosi nello stesso tragico anno di guerra, affermano “non vedo più alcun disegno/ né me stessa dentro il disegno, né un dove, né un luogo/in cui ritrovare la concordia tra me e il mondo/ così da poterla raccontare.”; e la giovane ragazza che non si limita a sopravvivere, piuttosto torna a vivere nel mondo dell’infanzia, per lei tragico, mediante la sua fantasia creatrice e generatrice. “Motivare il mondo è scoprirlo” afferma Aurora/Sara, e il linguaggio poetico non sterilizza il dramma di queste donne, ma dal “poco chiaro delle parole…la luce appena nata” può forse aggrapparsi “alle nuvole con nocche tenere/ così (come) s’aggrappano al fiato le parole/ quando la voce non ha un nido/ dove posare i suoi frutti.”
“Ti partorisco in misericordia, nel luogo degli opposti
nel nove difettivo a dirci in perfezione
e tu mi partorisci nel coraggio di vedere più chiaro
sotto la luce radente del mio volerti qui mentre mi congedo
e vado via a passi ritrosi che mi sembrava non finito
il mio compito terreno, e invece no, forse è questo il limite
e altro ancora e di più non posso”.
(Madre)
Segni fragili siamo di vulnerabile bellezza
alla bellezza chiamati,
ma troppa è la carne da attraversare
grande il mistero di questa soglia opaca
e poca la luce fraterna tra noi.
Così la mia morte sia un muricciolo
di pietre bianche nelle cui fessure
piante e lucertole trovino riparo
e le creature umane un poco d’ombra e di ristoro
e il vento ne faccia strumento
per un nuovo canto.
(Gestazione dell’addio)
Ieri ho disegnato un bosco con gli alberi tutti in fila
uno accanto all’altro, con le fronde che si toccano
e la maestra me l’ha corretto:
non stanno così in fila gli alberi, mi ha detto.
Ma sì invece. Loro sono contenti così, vicini
ombra nell’ombra, i rami intrecciati come mani
e sotto le radici a parlottare abbracciate alla terra.
Motivare il mondo è scoprirlo
sentirne sottovento il canto
e farne una promessa
per guarire lo stare spaiati, alla rinfusa
in ciò che ne rimane in bocca…
(Aurora/Sara)
Lucianna Argentino è nata a Roma nel 1962. Ha pubblicato i seguenti libri di poesia: “Gli argini del tempo” (ed. Totem, 1991); “Biografia a margine” (Fermenti Editrice, 1994); “Mutamento” (Fermenti Editrice,1999); “Verso Penuel” (edizioni dell’Oleandro 2003); “Diario inverso” (Manni editori, 2006); “L’ospite indocile” (Passigli, 2012); il poemetto “Abele” (Ed. Progetto Cultura, Le gemme 2015); “Le stanze inquiete” (Edizioni La Vita Felice, 2016); “Il volo dell’allodola” (Edizioni Segno, 2019); “In canto a te” (Samuele Editore, 2019). Il 29 settembre del 2019 le è stato assegnato il Premio Caro Poeta 2018 durante la quinta edizione di “La parola che non muore” Festival a cura di Massimo Arcangeli e Raffaello Palumbo Mosca. E’ altresì organizzatrice di rassegne, collabora con diverse riviste del settore e ha fatto parte della redazione di “Viadellebelledonne”. Ha rappresentato l’Italia al Simposio biennale “Alpe-Adria Letteratura” con “In canto a te”. “La vita in dissolvenza” è stata musicata dal chitarrista Stefano Oliva e presentata in numerosi teatri, associazioni culturali e Festival.