“Il vento solleva/ un’idea/ e quella luce d’alba/ nei tuoi occhi” Quattro versi che ci danno la “misura” dell’amore, ma non certo per quantificarlo secondo una logica economica o almeno utilitaristica. Allora perché Sandro Montanari sceglie proprio questo titolo – “La metrica dell’amore” – per la sua seconda silloge? Non certo per indicare una quantità, ma una scansione, un tempo, il tempo dell’amore, il suo “accadere”. Psicologo clinico e psicoterapeuta e dunque profondo conoscitore dell’animo e delle sue passioni, lo fa scegliendo il linguaggio e il metro della Poesia, al tempo stesso definita e indefinita, reale ed effimera, verità e finzione, follia e ragione, lingua adulta e infantile “Il bambino ascolta | il vento, riconosce | il suono nascosto | della sua ombra”.
Scritta, e dunque “compiuta”, la Poesia si fa “disfare” da chi la legge o l’ascolta; si fa scomporre in colori, suoni, persino odori, percepiti in modi tanto diversi, quanti sono coloro che ne formano il pubblico. E così l’autore si immerge e ci accompagna in rifugi segreti “Di nascosto | entro nel ricordo | crivellato di sogni” o nel luogo e nel tempo in cui “Non cantano più le cicale, | un pensiero si affaccia | tra le spighe” là dove il pensiero si fa “persona”: persona nel senso di “suonare attraverso, risuonare” – un’etimologia affascinante, anche se misconosciuta dai linguisti. Per suonare nella natura e tra i suoi elementi, la persona-pensiero ha bisogno di spazi di silenzio o almeno di suoni discreti, attenuati, e che si possano discernere.
Dentro il tempo della lettura si riscopre anche un significato diverso di “metrica” come “misura”: il limite entro cui stare, per non perdersi del tutto; chi ama lo sa bene, si perde nell’altro/a, per ritrovarsi o per scoprire la parte sconosciuta di sé che nella relazione d’amore può essergli/le rivelata. Sandro Montanari declina questa misura nello sviluppo della raccolta, che si apre con l’Ascolto – di sé e dell’oltre sé – prende coscienza del Tempo – esso stesso misura e dunque “scuola di misura” – medita nel Silenzio, e poi vivifica nel Ritmo, con l’ Intensità, che genera Risonanze in chi si lascia coinvolgere nel viaggio.
Ed è particolarmente significativo che la silloge contenga proprio nella prima sezione – Ascolto – la poesia “Profumi”, poiché “percepire con l’olfatto fa tornare agli albori dell’umanità, alla primitiva conoscenza, istintiva, irrazionale, mediata dagli odori, che sembra guidare i nostri ricordi, e anche le emozioni avvicinandoci prepotentemente a qualcuno, oppure allontanandocene. È proprio la memoria olfattiva – condivisa con gli altri animali – che resta impressa a lungo, spesso più di un volto o di parole “Ma profumi | mi spingono a cercare | tra roveti e parole tremanti”.
I profumi del ricordo sono la luce-guida per Sandro Montanari a cercare tra il dolore e l’incertezza, le emozioni e la difficoltà di esprimerle: non è questa la poesia, che lui stesso cerca o piuttosto la poesia dalla quale è cercato? Come non ricordare Pablo Neruda, con il suo verso “la poesia venne a cercarmi”?
È poi straniante e intrigante scoprire nella sezione Silenzio la poesia “Disegni”, che nei “rintocchi” e negli “echi di parole” declina il profondo legame tra suono e silenzio: silenzio che precede il suono – l’esecuzione di un brano musicale, col gesto di attenzione rivolto dal direttore a tutta l’orchestra – e silenzio che segue l’ultima battuta, spesso vanificato dall’applauso impaziente di ringraziare, ma incapace di custodire un istante ancora la magia dei suoni. Accade anche nella poesia, dove il silenzio del desiderio la origina e quello del ricordo la conclude, essa stessa scandita da gesti, invenzioni e incantesimi, in uno spaziotempo che lascia sfocare, ma non cancella del tutto l’oltre sé. “Echi di parole | e carezze incerte | disegnano incantesimi ancora | sui vetri appannati”.
Le sezioni di poesie si concludono con Intensità: qui la nostalgia è struggente in un va e vieni di ricordi e visioni, desideri di trattenere e lasciare andare, e unisce misteriosamente – come avviene solo in poesia – chi resta e chi appartiene al passato. “Lasciatemi con lei | ancora un poco, | il tempo morde il fiato | e un mare di nebbia | s’avvicina a lambire | questo cammino senza passi”.
La sensibilità dell’autore, affinata da anni di ascolto e riflessione paziente, si rivela anche nei titoli delle sezioni e delle poesie, titoli evocativi e allo stesso tempo enigmatici, che ci conducono dentro e trai versi; nello stile “misurato”, a tratti onirico e visionario, in una sintesi efficace e immaginifica che coniuga il registro esperienziale con il linguaggio dell’inconscio.
Tra le tante, possono citare alcune bellissime immagini:“Una finestra che sbatte/ nel grido del giorno” (Cristallo); il rumore della finestra che taglia – e insieme distrae da – l’angoscia o dalla ribellione del vivere.
Oppure, anche: “Nell’accadere eterno /dei tuoi anni”(Dal balcone);l’infanzia, un tempo che sembra non debba mai finire, pur nel suo dipanarsi, ma anche il compiersi del ciclo della vita.
Infine: “I miei giorni più cari/ franano sottovoce”(Sottovoce): come si disfano i giorni, senza troppo rumore, così non sempre è necessario alzare la voce per farsi sentire.
Ora che l’autore ha compiuto il suo viaggio, prima di affidare l’opera al “pubblico” perché ognuno vi scopra anche le pieghe più nascoste, compie un’ultima alchimia: nello scritto – non più verso ma riga, non strofa ma periodo – trasforma le parole in pietre d’un viaggio esistenziale autenticamente umano. Si colloca così nell’ultima sezione (Risonanze) un racconto che “risuona” dei versi e nei versi della silloge: passato e presente si intrecciano nei piani temporali, metafora di veglia e sogno. Più che un gioco di specchi, si rivela un guardare “dietro lo specchio” nel luogo dell’immaginazione e del desiderio che è “oltre” l’immagine-coscienza di noi stessi.
Si rinnova la sostanza della Poesia: non astrazione dalla vita, né sublimazione del quotidiano, ma oltrepassare l’orizzonte per scoprirvi ancora l’alba.
Sguardi
Un dondolio di lampade
a sera nel fumo,
tintinnio di stoviglie, le voci
si accavallano e inseguono
dai tavoli le gambe di lei
che finge
di non sapere
i pensieri degli uomini.
Sottovoce
Nel silenzio
ti posi come farfalla
sull’orlo del cielo
I miei giorni più cari
franano sottovoce.
Nell’aria
Ora m’appari
e a te mi stringi
con un gesto
annidato nell’ombra.
Lasciatemi con lei
ancora un poco,
il tempo morde il fiato
e un mare di nebbia
lambisce questo cammino
senza passi.
Padre
Dalle sponde del fiume
vedo scorrere i ricordi
nei riflessi della tua voce
ora vento e preghiera.
Uno sparo
stormire di voli improvvisi
grida di cacciatori
nella fitta boscaglia.
Di nuovo scende
l’ombra del silenzio
il falco si ferma
in alto,
scruta le acque.
Io bambino
ti chiamo
ma senza voltarti
scompari.
Il luogo della poesia
La conchiglia
disabitata
bisbiglia all’orecchio
parole sommerse.
Il bambino ascolta
il vento, riconosce
il suono nascosto
della sua ombra.
Sandro Montanari, La metrica dell’amore, Pioda Ed.- Roma, 2025
Sandro Montanari, PhD, psicoterapeuta. Si occupa di tutela dei minori presso l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e, in qualità di Giudice onorario, nella sezione minorenni della Corte di Appello di Roma. Didatta della Scuola romana di Psicoterapia Familiare, ha insegnato Psicologia generale alla Sapienza Università di Roma. Docente ARPCI. Oltre a numerosi articoli scientifici, ha pubblicato saggi e volumi su temi di Psicologia dello sviluppo e Psicoterapia. La metrica dell’amore è la sua seconda silloge.