“La Gelsominaia” di Lina Furfaro

Le riflessioni del poeta Natale Sciara

 

Lina Furfaro, calabrese trapiantata a Ciampino e da anni impegnata nel mondo letterario con pregevoli libri ed ora anche come attrice di notevole spessore in una Compagnia teatrale proponente testi legati al mondo calabrese, con questo breve romanzo, o lungo racconto, dal titolo “La gelsominaia” pubblicato da Luigi Pellegrini Editore fa conoscere un altro aspetto della sua terra d’origine e più specificatamente della zona del versante ionico della Calabria cioè la Locride nella quale ella ha vissuto anni importanti della sua formazione.

Un romanzo che si aggiunge agli altri precedenti con i quali la scrittrice, nel proporre ritratti di donne, rimarca la sua vocazione alle problematiche sociali. Un’opera nella quale si evidenziano profonde caratteristiche del territorio dove si svolge la vicenda narrata, caratteristiche che, oltre ad esercitare un’influenza sull’economia, condizionano anche il costume di vita e le abitudini delle persone.

Una storia, quella raccontata, nella quale si avverte il piacere della narrazione; ricordi che si affollano alla memoria di un tempo che non può tornare ed in ciò sublimandosi trova ragione del suo essere elemento basilare della struttura dell’essere umano. È nella memoria, infatti, che il vivere sembra trovare le sue ragioni; viviamo l’attimo fuggente che si fa passato, o meglio, un attimo dopo l’altro che ci offrono l’illusione del presente. È brava Lina Furfaro a rievocare atmosfere che ha vissuto e gode del ricordo di esse. Ed è il costume di un’epoca e di un ambiente che viene rappresentato con al centro la coltura del gelsomino tipica della zona. Un racconto che in qualche modo segna il trapasso da un’epoca ad un’altra, e cioè quella più marcatamente contadina e quella del consumismo .

A questo proposito mi viene da fare una riflessione di carattere generale dopo la testimonianza offerta da Pier Paolo Pasolini che,  essendo contro la società dei consumi, lo portava  ad avere nostalgia del mondo contadino.

Ora, dopo l’imporsi della società capitalista che ci ha portato alla globalizzazione ed alla rivoluzione digitale, con tutte le incertezze intorno all’avvenire del pianeta Terra, derivate dai guasti prodotti ad essa dagli esseri umani, un libro come questo ci invita ad interrogarci sul futuro della società con tutte le inquietudini alle quali ora si sono aggiunte  anche quelle derivate dalla pandemia.

L’essere umano, comunque, ha bisogno dell’agricoltura anche se i prodotti coltivati possono cambiare a seconda degli umori del mercato con tutte le implicazioni di carattere vario che ciò comporta.

Certamente la famiglia patriarcale è scomparsa ed anche la famiglia come istituzione è in crisi e con essa sono cambiate anche le abitudini ed il costume di vita delle persone.

La tecnica ci dà l’illusione della modernità e sembrerebbe essere il destino ultimo degli esseri umani e non si può tornare indietro se non verso forme di imbarbarimento o comunque in situazioni di arretramento economico anche se la scienza e la tecnologia comunque procedono per la loro strada di ricerca e all’orizzonte per l’essere umano si sta profilando una sfida sempre più impegnativa con la propria natura e condizione in rapporto al pianeta che lo ospita.