Irene Sabetta, “Errore cronologico”

Recensione di Anna Maria Curci

“The time is out of joint“, afferma Amleto alla fine della scena V del primo atto dell’omonima opera teatrale di Shakespeare. La prima delle quattro sezioni di Errore cronologico di Irene Sabetta porta questo titolo. È ‘fuori di sesto’ il tempo sulla scena nella quale Amleto, dopo aver incontrato il fantasma del padre ucciso e dopo aver confidato il terribile segreto agli amici Orazio e Marcello, si accinge a rientrare. Dove? Nella tenzone quotidiana? Nel tempo condiviso della dimensione pubblica? Alle domande sarà l’azione scenica a dare risposta.

Irene Sabetta propone tre opzioni per tradurre l’espressione “out of joint”: dissestato, scardinato, slogato. Là dove l’io poetico si trova a vivere e a scrivere, a domandarsi, come l’Amleto shakespeariano, se sia «quello nato per archiviare i misfatti della storia/ e decretare l’avvento di un destino giusto», ecco che «nel dissesto della misura/ il grande orologio batte un tempo tardivo/ che al limite dell’intervallo/ torna in voluta d’incenso/ e schiva la punta della spada avvelenata» (amleto in patagonia, p. 14). In una «landa squassata» resta a «misurare i passi silenziosi/ di uno spettro che vorrebbe dirci qualcosa».

Depositario di segreti, in dubbio circa il proprio destino di prescelto, l’io poetico sa di avere capacità di percezione del dissesto, del disfacimento, sicuramente più sviluppate, così come sviluppate, perfino acutizzate sono le sensazioni relative ai contrasti, agli opposti: misura e dismisura, cammino e paralisi, stupore e disincanto, attesa fiduciosa e constatazione della catastrofe, anelito all’armonia e satira sulle contraddizioni o, per essere più precisi, sulle ipocrisie stridenti. 

La poesia di Irene Sabetta si distingue per il procedere contemporaneamente lungo alcune coordinate costanti: la letteratura (abbondano i riferimenti a opere in lingua inglese, ma i richiami letterari non si limitano all’area anglofona), la natura (in particolare l’amata montagna), la riflessione sugli atti e sui dispositivi linguistici. Sono coordinate che riconducono all’autrice e alla sua scrittura che abbraccia numerose dimensioni, gusti, passioni, ambito professionale, senza temere squilibri o forzature, ma sorridendo, talvolta, di sé. 

I richiami letterari sono evidenti nei titoli delle quattro sezioni: le prime tre: out of joint, who is there, the interim is mine sono citazioni testuali da Amleto di Shakespeare, la quarta, sogniloqui, si posiziona, come la raccolta di racconti che Stefano Taccone ha pubblicato nel 2018 e che ha lo stesso titolo, tra il sogno e la realtà, tra generi diversi, trasformati dalla creazione letteraria nel loro incontro. Di Franco Falasca, poeta che firma, chiamandola Postilla, la postfazione a Errore cronologico e che dichiara, a proposito di Irene Sabetta: «Ha avuto la sfortuna di essere mia compaesana e quindi di aver conosciuto da piccola me e i miei gruppi di intellettuali di riferimento, sperimentali, esistenzialisti, concettuali, tanto da non esserne rimasta influenzata letterariamente, no, ma esistenzialmente sì», appare una citazione in calce ai versi di eclittica (p. 42).  Spesso le citazioni sono tra le righe: in amleto in patagonia, di cui in precedenza sono stati riportati alcuni versi, è possibile rilevare echi di Eliot e di Petrarca; il titolo quattrocentocinquantuno introduce a un componimento (p. 41) nel quale i richiami a Fahrenheit 451 di Ray Bradbury giocano tra accensione e spegnimento. Il sottotitolo di non è un sonetto, a p. 28, è the dying animal e coincide con il titolo di un romanzo di Philip Roth. Anche i riferimenti musicali fanno risuonare la loro presenza: flies on the windscreen, a p. 37, è un passaggio dalla canzone Fly on the Windscreen della band pioniera del pop elettronico Depeche Mode; tuttavia, già nel 1974, il progressive rock dei Genesis aveva dato vita alla canzone Fly on A Windshield. Ci sono poi i titoli fortemente allusivi, rispettivamente a opere di Alessandro Manzoni e Samuel Beckett, marzo 21 (p. 30) e arrivando godot (p. 32).

Autori e temi di cui si avverte la presenza in Errore cronologico di Irene Sabetta presentano un denominatore comune. Essi rappresentano, infatti, snodi fondamentali della letteratura moderna, l’individuazione di uno spartiacque rispetto a modelli precedenti di scrittura: in tal senso vanno a mio parere interpretati i riferimenti al Canzoniere di Francesco Petrarca, a Hamlet di William Shakespeare, a Songs of Innocence (l’agnello) e a Songs of Experience (la tigre) di William Blake, a The Waste Land di Thomas Stearns Eliot. Tra raccolte di versi e opere teatrali, spunta anche un’opera di narrativa, Benito Cereno di Herman Melville che, come faceva notare Beniamino Placido nel 1975 nel volume Le due schiavitù. Per un’analisi dell’immaginazione americana, rivela in maniera profetica le radici di tante discriminazioni attuali. 

All’interno della terza sezione, the interim is mine, citazione dalla scena 2 dell’atto V di Hamlet,  la poesia benito cereno di Irene Sabetta, a p. 40 del volume Errore cronologico,  disegna un arco – stavolta, verrebbe da dire, ‘a tutto sesto’, per contrapporsi al ‘fuori di sesto’, out of joint della prima sezione – che parte dalla rievocazione per efficacissimi lampi di una scena-chiave dall’opera narrativa di Melville, «la lama affilata/ scintilla sul pontile/ menzogna allo stato quasi puro/ nella stiva della nave fantasma/ la verità si nasconde/ tra i corpi di schiavi sudati», si innalza con l’invito rivolto a un ‘tu’, ideale interlocutore, a uscire dalle pratiche forzate collettive, invito che ha già il sapore di una pacata e gioiosa ribellione «non andare a fare la spesa/ ché la vita non è un supermercato/ e ritroverai la gioia di rifiutare il dritto e il rovescio/ gioia pura/ vera fonte di benessere», conclude il percorso con la constatazione della fine di una parabola «al tramonto dell’impero americano/ e di tutti gli imperi della storia/ un calpestio un fischio/ una striscia di luce sotto un uscio». 

Attenta ai segnali di un insopportabile quanto diffuso neocolonialismo, Irene Sabetta prosegue con il primo dei quattro “monologhi esteriori” – la drammaturgia rovescia la modalità narrativa del monologo interiore – che compongono la sezione sogniloqui. Il monologo esteriore n. 1 riunisce, con esiti decisamente interessanti, un ritratto satirico tra inanità, buone intenzioni e autoassoluzioni: «non sono razzista/ sono di sinistra/ il mio filippino/ non ha lavato il pavimento/ io non lo pago/ è crudele/ anche se scrivo poesie/ anche se sono progressista/ anche se sono illuminata/ spegnetemi». 

E mentre ci si affanna a misurare il tempo e si constata l’inevitabilità dell’errore cronologico, il succedersi delle ore non si arresta «e si fa giorno».

Irene Sabetta, Errore cronologico. Postfazione di Franco Falasca, Il Convivio Editore 2023