[Febbraio 2018] In altre stanze, poesie di Laura Rainieri, Edizioni Cofine, Roma 2018, pp. 72, euro 15,00
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IL LIBRO
Prefazione di Mario Melis
Si afferma che spesso la coerenza non è una virtù, ma lo è sempre nella poesia, perché, con la fedeltà a un nucleo tematico, garantisce la necessità della scrittura, soprattutto quando evolvendosi ne svolge le implicazioni, sottraendosi alla deriva della replica.
E in quest’opera la coerenza è doppia: rispetto al percorso anteriore dell’autrice, in prosa e poesia, e nel variegato panorama di questa raccolta, riconducibile a unità.
L’antilirismo-lirico, un ossimoro frequente nella più significativa produzione poetica contemporanea, delle prove precedenti (l’ultima, la silloge, anch’essa unitaria, La Bassa piana e le Fontanelle – Racconto in versi, sul paese natale, che qui ritorna) nel denunciare il crollo di una civiltà, quella contadina della Padania, la terra d’origine dell’autrice (Pasolini docet) si costituiva già allora al presente, sottratto alla lusinga dell’irrilevanza poetica della nostalgia.
Si pongono le questioni dell’assenza e della mancanza, che non sono coincidenti, perché dell’assenza delle cose nulla si può dire: e, di conseguenza, la cancellazione dell’oggetto trascinerebbe con sé quelle del poeta e della poesia.
Allora, sarà necessario parlare della mancanza, dove la presenza dell’assenza (tanto più angosciosa quanto più attuale) conserva le cose, congiungendosi con la lontananza (anche nel senso di Baudelaire) che esprime l’estraneità non del presente, ma nel presente nei suoi vari aspetti, per lo più “degradati”. Quest’ultimo, dunque, insieme alla lontananza, che garantisce ancora alla parola la sua aura poetica.
Le altre stanze del titolo della raccolta valgono anche in questo caso doppio: sia nella coscienza della separatezza del soggetto dall’attualità delle cose e di esse da lui, sia per la condizione dell’uomo che per quella del poeta contemporaneo, con il risultato di uno stato di sospensione.
Così accade qui in certi versi lunghi, (secondo un andamento nastriforme) che stanno per precipitare e si arrestano ai margini del vuoto, dalla ariosa e squisita perizia tecnica (si veda tra gli altri, il testo “Ritorno”).
Ma alla fine qual è il nucleo tematico, nell’ultima veste della coerenza?
A indagare sul pre-testo si riconosce nell’Amore l’elemento unificante della realtà (si tratti della Venere di Lucrezio o del Cristo ma propenderemmo per la prima), anche quando il termine, nel binomio tradizionale, si collega a quello di morte nella menzione di luoghi e persone perdute. Con il rischio che l’esito approdi al solito trito canzoniere amoroso, sebbene i medioevali ci abbiano insegnato come il discorso si presti alla metafora di un dialogo sui massimi sistemi (dalla gnoseologia, all’ontologia, alla metafisica). Rainieri lo sa bene perché, nell’esperire anche questo versante del problema, alla ricerca del montaliano varco (ma senza pretese metafisiche) che permetta un rapporto con le cose, avvertiamo che si tratta d’altro, nella concretezza del nostro presente storico.
Nella ricerca, che le sintetizza tutte (nella mancanza e nella perdita) l’ultima tappa è costituita dalla relazione uomo-Natura, con un evidente rimando leopardiano. Dati, però, i precedenti, non solo nel Recanatese, il discorso non ha bisogno di molti ricorsi argomentativi, e assume la stringatezza dell’evidenza immediata in testi brevi (per lo più versi di cinque o sette sillabe).
Si propenderebbe a prima vista per un espressionismo bozzettistico, se non fossero inseriti nella logica di cui si è detto, e con esiti di straordinaria bellezza, come in “Mela d’inverno”, dalle risonanze di un’aggiornata Antologia palatina.
Il senso implicito richiama alla politica, nella sua accezione della polis e in quella dilatata della sopravvivenza materiale e spirituale dell’uomo, in un panorama di Waste Land.
Perciò torna spesso il lemma neve nel duplice sentimento di una purezza aurorale desiderata e smarrita e del gelo di un mondo agghiacciato (si vedano “Il tempo della neve” e “Cogolo o dell’Italia”).
È insieme l’elegia e la deprecazione zanzottiane misurate all’ultimo scalo.
Quanto all’unità della raccolta gli agenti responsabili di quella mancanza d’Amore, parzialmente recuperato nella citata lontananza (di quell’Amore che unico è garanzia di senso per l’uomo e la poesia) non si collocano all’insegna di rubriche diverse, ma si mescolano nell’effetto di un’unica ragione.
A distinguere questi agenti sono le scelte stilistiche, fino a sperimentare il provenzale discordo in un dialogo con un poeta morto, nei dialetti parmigiano di lei e campano dell’amico.
Il possesso, dunque, di una sicura poetica e dei mezzi espressivi a fondamento dei “moti del cuore” (che parola desueta!), senza sentimentalismi, in una maturità realizzata.
E, in conclusione, si parva licet, del padre Dante quando chiarisce nella Commedia come Amore ispiri la poesia, non stricto sensu quella amorosa, ma la poesia in generale, Rainieri deve essersi ricordata, perché qui lo ripropone, coniugandolo al nostro tempo.
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L’AUTORE
Laura Rainieri, nata nel 1943 a Fontanelle di S. Secondo (Parma), risiede a Roma, dove ha insegnato lettere negli istituti superiori.
Ha pubblicato i libri di poesia: La nostra spada, la parola, Ibiskos, 1997, primo premio Padus Amoenus; Nessuno ha potuto sposarci, Bastogi, 2001; E serbi un sasso il nome, Campanotto, 2004. Il racconto in versi La Bassa piana e le Fontanelle, La Colornese, 2012.
In prosa i racconti: L’ultimo Guancho, Campanotto, 1998; Angelo pazzo e altri racconti, ExCogita, 2007; Badante sissignora, ExCogita, 2010; Un viaggio in Romania (tra realtà, fantasia e utopia), Studia, 2014 (tradotto in romeno).
Poesie e recensioni sono state pubblicate sulle riviste “Pagine”, “Capoverso”, Periferie”, “La Ballata”, “I fiori del male”, “Incroci”, e sulla rivista bilingue on-line “Orizzonti culturali italo-rumeni”.
Alcune poesie sono state tradotte in sloveno, trasmesse per Radio e pubblicate nella biografia di Ciril Zlobec Lontananze vicine (ZTT-EST, Trieste, 2012).
Nel 2012 ha vinto il primo premio “Padus Amoenus”, per una silloge inedita nel dialetto della Bassa parmense dal titolo “Adèss av cont” (Adesso vi racconto).
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