Una commozione rarefatta, lieve come un velo di pudore poggiato sul sentimento più antico e autentico, la relazione devozionale madre-figlio, il ruolo protettivo della Madre Dolorosa a difesa e consolazione dei mali del mondo: Su xélu brutu de sànguni, sa nùi / de su dolòri fatu bòxi // sarragàda de béstia, tzùnchiu / ràspidu che raca // de béntu me i’ pèrdas de su Gòlgota… // Su pèi biancu de Maria asùb’ ’e sa cònca / de su calóru (Il cielo sporco di sangue, la nube / del dolore fatto voce // rauca di bestia, lamento / aspro come rantolo // di vento tra le pietre del Golgota… // Il piede bianco di Maria sopra la testa / del serpente). Sergio Cicalò, autore di Passionis (Passioni, Cofine 2022) raccolta in cagliaritano- campidanese vincitrice la XIX^ edizione del Premio Ischitella – Pietro Giannone, intreccia a quelle ‘grida di uomo’ dalla croce che ancora chiedono condivisione alla sopravvivente umanità dei consimili, la voce di tutti gli uomini e di tutte le madri, ovvero dell’inizio e della fine della vita in Terra ( Me in su scurìu de su mammàrgiu / de s’ùrtimu arrespiru // pitùrras chèn’ ’e ària as apeddiài / a bivi tzurpu e mudu // canàrgiu currèndi currèndi su còru / in su padènti ’e sa mòrti – Nel buio del vagito / dell’ultimo respiro // con il petto senz’aria bramerai / vivere cieco e muto // battitore che rincorre il cuore / nel bosco della morte). Della nota introduttiva ai testi curata dall’editore e poeta Vincenzo Luciani, riportiamo stralcio della motivazione della giuria assegnataria il Premio: nei suoi versi, Sergio Cicalò Intreccia una sonorità vivida, accentuata dalle sapienti allitterazioni e resa armoniosa dalla costruzione (…), con ricorsi frequenti e riusciti a metri della tradizione italiana… Il senso profondo di una religio, tanto elettiva e tanto popolare, corredata di notazioni etnografiche che confermano la solidità della voce d’autore e la persistenza di una cultura che travalica i millenni (…) e si perpetua e si ripropone con la voce sommessa e forte al contempo di un poeta che fa vibrare le corde della orribile perdita cui non si può dare un nome, il grido di pietrificato dolore delle madri che sopravvivono ai figli, di tutte le Maria cui tocca lo strazio di stringere il corpo de fillu tùu (…), // càstia su sprigu de su / siléntziu giài // obértu, su sànguni giài / sicàu asùb’ ’e s’obrèsci // de sa pèddi, is ògusu de àcua / firma che su xélu, // basa custu nudda custu tótu, / sìada s’ùrtima bòrta o sìa’ sa prima (di tuo figlio, (…), // guarda lo specchio del / silenzio già // aperto, il sangue già / secco sopra l’albeggiare // della pelle, gli occhi di acqua / ferma come il cielo, // bacia questo nulla questo tutto, / che sia l’ultima volta o sia la prima). Dolore senza parole, ingiusto, sovversivo la legge generazionale, senza possibilità di consolazione, senza risposta: Cali curpa ses paghèndi cravàu in cussa cruxi? Sa curpa de Adamu o sa curpa de babu tùu chi a’ fatu Adamu a su dolòri e a sa mòrti? Artzièndi sa bòxi tua de ómini faci a su xélu ghètas tzèrrius de ómini chi nèmus intèndidi (Che colpa stai pagando / inchiodato a quella croce? // La colpa di Adamo o la colpa / di tuo padre che ha fatto Adamo // al dolore e alla morte? / Levando la voce // tua di uomo verso il cielo / lanci grida di uomo // che nessuno sente). Affinata, penetrante, la parola poetica di Cicalò è come punta di diamante che incide il vetro, il diaframma di separazione, la finestra ddòi pàusant àngelus (si fermano a riposare gli angeli) messaggeri del numinoso, incipit d’una delle poesie in cui, di converso, è un figlio a richiamare la propria madre, a ritualizzarne la presenza e a incontrarla nei ricordi che questi di lei conserva; è nella richiamata figura materna che il cielo si congiunge alla terra, e si rafforza il filo che lega l’uno all’altra; sentimento devozionale indissolubile che è peraltro simbolicamente rappresentato dai simulacri, in gesso o legno dipinto, della Madre celeste e del Figlio risorto portati in processione da gruppi di devoti provenienti da opposte direzioni, convergenti simultaneamente nel luogo in cui avverrà l’incontro a chiusura della Settimana Santa. Alla materia inanimata, inerte della statua di Cristo l’autore attribuisce la facoltà di pensare, dire, con versi semplici e toccanti, dell’amore che sopravvive al distacco: Castièndi anànti miu / sèntz’ ’e ti biri, i’ bratzu’ cìrdinus // pesàu’ faci a su xélu, no arrennèsciu / a serrài ’s ògusu candu su fragu // de ’s fròris m’arregòrdara / su fragu de sa trèmpa tua, mama (Guardando davanti a me / senza vederti, le braccia rigide // levate verso il cielo, non riesco / a chiudere gli occhi quando l’odore // dei fiori mi ricorda / l’odore della tua guancia, mamma).
SERGIO CICALÒ (Cagliari, 1970), laureato in Lettere classiche, ha insegnato nei licei e attualmente insegna nel carcere di Cagliari-Uta. Tra i fondatori della rivista di poesia “Erbafoglio” di Cagliari, ha pubblicato il libro di versi Giovane cagliaritano (1993), finalista al Premio Giuseppe Dessì di Villacidro. Un’altra raccolta di poesie, Lo sguardo degli occhi chiusi, uscirà prossimamente. Nel 2021 è stato finalista nella sezione “poesia inedita” del Premio internazionale Rainer Maria Rilke di Duino. Pubblicazioni recenti di poesia: Sette sonetti, usciti nella rivista “Smerilliana” 22, 2019 e alcune poesie in sardo campidanese uscite nella rivista “Avamposto” 1, 2022. Nel 2022 con il testo inedito Passionis (Passioni) ha vinto il Premio Ischitella-Pietro Giannone.