Gli ultimi due libri di poesie di Giarmando Di Marti

Recensione di Maria Lenti

Gli ultimi due libri di poesie di Giarmando Di Marti, poeta e scrittore di lunga esperienza umana e culturale, mi spingono a considerare nei suoi versi il contesto, sotteso – e ne esce il cor inquietum –  o evidenziato – e ne esce una irosa umanità –, e la dinamica della constatazione poetica. 

Spinta all’accelerazione da una tecnologia quasi giornalmente da sostituire, pena l’esclusione dall’informazione e dalla comunità, dalla possibilità al limite di ricapare se non il filo principale almeno qualche filo da tendere in avanti, la vicenda di noi viventi si carica di una tensione in netto conflitto con il fuori. Quel fuori in cui, per di più, cronaca e storia, eventi e avvenimenti, poteri e giri finanziari, si inseriscono pesanti nella quotidianità e calano  nel nostro intimo come  macigni lasciandoci sgomenti, impietriti, incapaci a contrastarli. 

«oggi un grecale improvviso è salito a tagliare il cuore / degli scogli stupefatti con palpiti rafficati  e l’acqua cupa / ha innalzato la sua forza in bave lattiginose  contro la costa / arresa a tutto ciò che l’uomo ha forzatamente / piegato a fusciacca mercenaria.» (diario d’un equinozio di primavera, p. 69)

Tre anni fa il dilagare del covid ci ha messi con le spalle al muro. In questi ultimi mesi la strisciante escalation di conflitti non lontani  da noi, anche per una indiretta compromissione militare, preme sul cuore inquieto e spinge sempre più al rifiuto della insensatezza politica di chi sale tali gradini. 

L’isolamento pandemico ci ha resi consapevoli della fragilità e dell’imponderabile, della necessità di scelte diverse in tutti i settori della vita di questo mondo, scelte peraltro che alla distanza non sono state messe in atto; la pace tra gli Stati, massimo bonum da raggiungere oggi,  sfuma ad ogni apertura di mattino; il cuore è quanto mai inquieto…

Ed ecco l’impulso di rivolta, gli affetti e i sentimenti restituiti nei versi del poeta di Grottammare.

L’insidia della mancanza di prospettiva, ma anche la difficoltà nel decifrare quel che ci viene proposto, l’esclusione dalle decisioni che contano, danno una poesia come forma di rifiuto dell’odiernità, indicando senza nominarlo un duplice orizzonte lontano: di annientamento e, di converso, di un cambiamento sollecitato da un vivo desiderio, entrambi con il pathos, la spinta in avanti, la denuncia: elementi còlti già in altre raccolte di Giarmando Di Marti, ma qui amplificati, scavati, intensi.

 «sento il mio passo solitario salire dalla strada del cuore / con un tonfo freddo di sasso gettato  nello sconcerto accumulato / verso attimi, minuti, ore giorni che misurano / lo scorrere esiliato di questo povero tempo sgomento.» (…ndo, p. 42) 

Pathos che è partecipazione, empatia, vicinanza all’essenza della vita degli individui e dell’esistenza della terra-mondo che abitiamo. Urgenza di dire, di tenere il campo largo dello sguardo sull’esterno, di restringere poi sulla resa interiore in cui giocano la loro partita la luce della ragione e la pena di un esito non cercato né tanto meno voluto ma non lontano, esito invece vòlto, dentro i versi e le poesie dei recenti due libri di questo autore appassionato, alla chiara sostanza della vivenza. 

Giarmando Antonio Di Marti, diario d’un equinozio di primavera, Pref. di Marina Sarracino, Europa, Roma, 2023;

Giarmando Antonio Di Marti, …ndo, Intr. Di Luigi Portelli, Andrea Livi, Fermo, 2023;

Maria Lenti