GIAN PIERO STEFANONI (Roma, 1967). Laureato in Lettere moderne ha esordito nel 1999 con la raccolta In suo corpo vivo (Arlem, Roma- pr.ne di Mariella Bettarini), vincendo nello stesso anno, per la sezione poesia in lingua italiana, il premio internazionale di Thionville (Francia) e nel 2001, per l’opera prima, il “Vincenzo Maria Rippo” del Comune di Spoleto. Segue nel 2008 Geografia del mattino e altre poesie (Gazebo, Firenze- pr.ne di Plinio Perilli), premio “Le Nuvole-Peter Russell” nel 2009 e “Città di Venarotta” nel 2010. Presente in volumi antologici, tra i quali “La poesia dell’esilio” (Arlem, Roma 1998, a cura di Maria Jatosti) e “Dai parchi letterari ai poeti contemporanei” (Edizioni Arte Scrittura, Roma 2009), suoi testi sono apparsi su diversi periodici specializzati e sono stati tradotti e pubblicati in Spagna, Malta e Argentina. Già collaboratore di “Pietraserena” e “Viaggiando in autostrada”, è stato redattore della rivista di letteratura multiculturale “Caffè” e, per la poesia, della rivista teatrale “Tempi moderni” . Per l’inedito ha vinto nel 1997 il premio “Via di Ripetta” e il “Dario Bellezza”, nel 2000 il Garcia Lorca dell’associazione culturale di Torino “Due fiumi”.
Le poesie di Gian Piero Stefanoni
altezze di una voce
Sono
arrivato fino a qui
senza
morire*-
e incomincia l’inverno,
nelle tempie l’inferno.
*
Corona di luci. Dolore che non
vogliamo.
Si alzano gli uccelli
raccogliendosi a nido.
-* Da Basho
Per quali palazzi, per quali
stanze
ci siamo mossi a largo, vedendo
muovere il mare?
Sotto quali lumi
ci siamo fermati scoprendo
che eravamo all’inizio,
all’inizio,
all’inizio…
di tanta sera noi stessi già eco?
Roma, che distruggi, Roma che
comandi,
senza soste coperta di nuvole,
solo rami della rosa fiorimmo.
Signore, Tu conosci di me ogni
cosa,
ogni inferno, ogni parola che mi
distanzia da Te
nella forma della paura- e della
ritrosia.
Io ti vedo nei crocevia dove ci
scambi,
ci poni l’uno di fronte
all’altro,
in quel dominio dove il male ci
tenta,
ci devia nell’ascolto di una
libertà senza pena,
senza tavola dove a un ospite si
possa servire.
Ma è la che la nostra vita si
compie
nella lingua che indovina il
mondo:
perché è là ed ancora là che il
nostro cuore
può rompersi trattenendoci
insieme sul fondo.
su “Sentirsi male sembra voler dire”
di Valerio Magrelli
Non è mai troppo lontano il corpo
da non poter essere udito
ed è in quel sembra la differenza.
Ciò che non torna è una parte che
muta
e che nel suo mutare ti dice:
accompagnami.
Solo può rimanere quel buio
che sembra mandare aria alle vene
ed è in questa paura il dolore
o almeno, se ascolti, d’ognuno
il terrore, la sua risonanza.
Ed arrivi e resti
con noi tra le piante
e il caffé del primo pomeriggio,
quartiere di poeti e di ragazzi
svelando alle madri
i cuori maturi dell’inverno
mentre un altro giorno accade.
Dissigillale da ciò che pensi,
rendile vere,
365 volte umane le tue preghiere
dall’agenda lasciandole uscire.
Dalla notte riportale al giorno,
cammina con loro, presentati agli
altri;
come confetti di una festa
perenne
senza sacchetto offrine ancora.
VIA
OZANAM
(aprendo le imposte)
Sono come te, merlo
che non vuoi o non riesci a
saltare,
sempre pigro prima del canto.
Proviamo allora insieme
a rovistare la terra.
Io davvero non ti posso
scacciare.
Ora ogni età è nel suo cielo
le ombre disperdendo le voci
richiamate come mare al suo
cerchio.
Ancora chiamano, ancora si
disperdono
gli uccelli, acclamandosi per
nome.
Stasera non ha termine il volo,
è ancora bianca la notte, un cane
solo tentando di romperla.
angelo del pianto
Io non so perché ci cerchi
angelo del pianto, in braccio
alzata a guardar scorrere fiumi.
Ma sei il nostro fiore azzurro
sempre acceso, che grida
nell’esplosione oscura dei suoi
occhi
la pallida infinità delle sue
attese.