Festival della poesia alpina

A Bressanone/Brixen il 12 e 13 maggio 2023

 

Il 12 e 13 maggio 2023 si è svolto a Bressanone/Brixen il Festival della poesia ladina: una iniziativa interregionale e plurilinguistica, che ha coinvolto poeti e poete del Sudtirolo, del Veneto, del Friuli e della Svizzera dei Grigioni. Erano presenti anche le traduttrici in tedesco delle poesie, raccolte in una bella antologia trilingue (lingue originali, italiano e tedesco), voluminosa (cinque poeti per ognuno dei tre gruppi linguistici: ladino dolomitico, friulano e romancio) ma di agevole lettura. Durante la manifestazione piacevoli e interessanti si sono rivelati gli intermezzi di un cantautore ‘furlan’ (Luigi Maieron) e di due giovani ‘ciantautëures’ (Anita Obwegs e Astrid Alexandre) che hanno mostrato come poesia e musica, parole e voci di una comunità locale siano in grado di suscitare forti emozioni attraverso un immaginario che persiste nel profondo dell’animo umano pur nel mutare dei tempi.

Una iniziativa importante, per diversi motivi, e tra questi il fatto che diversi Enti hanno collaborato per organizzare uno spazio di incontro e momenti di intensa comunicazione e convivialità tramite la poesia in un periodo divisivo e problematico come l’attuale. E va specificato che tutti i testi erano inediti, rendendo il Festival non una riproposizione di quanto già scritto, ma un punto fermo nel presente, da dove  aprire futuri percorsi. Ulteriori approfondimenti sono emersi dalle tavole rotonde in merito alla intersezione tra le lingue e alla traduzione della poesia, alle sfide poste dai dialetti con le loro varianti locali, espressioni idiomatiche e particolarità semantiche e sonore.

Sul piano letterario, c’è stata la precisa volontà di coinvolgere sia autori più affermati, come Roberta Dapunt che nel suo matern lingaz, lingua madre della Val Badia, riesce “a sublimare le tematiche tradizionali in forme poetiche universali”, fissando le immagini drammatiche sullo scorrere del tempo, la morte, il destino: “Parü é la vita / y vigni mister le lus de na injunta” (Palude è la vita / e ogni mistero il lusso di un’aggiunta). Sia autori meno noti ma con un valido bagaglio culturale, prova della continuità creativa delle lingue minoritarie, utilizzate da chi, ormai plurilingue e cittadino del mondo, le considera – e ancora le ‘sente’ – un valido mezzo per esprimere elementi significativi del proprio vissuto, ad esempio Nadia Rungger (1998, la più giovane) che “indaga le potenzialità della scrittura letteraria plurilingue” e con testi laconici e versi spezzati fissa la fugacità di pensieri ed esperienze comuni, come l’amore: “l feji / pa aposta / pierder, amé / su / tè / y mé / nchina che / l ne ie plu nia / tl taier / y tl got / y te mé / plu nia / da ti dì / amor” (lo faccio / apposta / perdere, finire / di amar / ti / e me / finché / non c’è più niente / nel piatto / e nel bicchiere / e in me / più niente / da chiamare / amore).

Questa decisione si è rivelata particolarmente valida perché ha consentito di presentare esperienze molto diverse, anagrafiche (con poeti nati dagli anni cinquanta in poi) e di scrittura, fonte di poesie ad ampio spettro delle quali è qui possibile dare solo una breve e incompleta panoramica, con brevi citazioni dei testi e delle presentazioni dei curatori: Ruth Bernardi per la poesia ladina, Annetta Ganzoni per quella romancia e Gabriele Zanello per l’ambito friulano.

In ladino (insieme alle citate Dapunt e Rungger) scrive Cristina De Grandi. In testi che “si contraddistinguono per la musicalità e la forma metrica elaborata” coniuga tematiche esistenziali e amorose attraverso figure della mitologia greca, ma non mancano “le ricercate suggestioni della natura” e paesaggi dell’anima, come il paese di Erto: “Iló olache ciases stares / incërtlades da munts / grijes crësc altes tl ërt / y ona dlungia l’atra stáres / sciöche sce ares ess frëit / iló pón spié nia dainré / le bel sorí dles stëres” (Là dove case rigide / cinte da montagne / grigie crescono alte nell’erta / e stanno una vicina all’altra / come avessero freddo / là si può scorgere non di rado / il sorriso soave delle stelle).

Complessa e articolata appare la poesia di Rafael Prugger, “impregnata dalla gioia della sperimentazione” nello stile (anche visivo sulla pagina), attenta ad argomenti della fisica e dell’antropocene. E dove risalta “la relatività della verità, specie nel confronto tra la cultura orientale e quella occidentale e nella incongruenza degli interrogativi esistenziali”: “Nosta eles crëpa,/ minan da for incà / che les fossa stersces, / zënzauter – segures de si forzes / y che ntant śën minons vester frata” (Le nostre ali si spezzano / credevamo da sempre / che fossero resistenti / senz’altro – fiduciosi della loro forza, / e che invece ora crediamo essere vane).

Claus Soraperra, forte del legame con il territorio, orienta le sue composizioni (in stile moderno, talora ritmiche ed ermetiche) ad una “critica sociale che prende di mira la perdita delle tradizioni, l’eccesso dello sviluppo tecnologico e del turismo di massa”, insieme ad argomenti di un comune vissuto: “a la vita responon / descheche al fonin / co l’enema suta / zenza pèsc y amor assé./ i temps ne adorbesc / de gherlandes y bensté / lascian ala fam / lascian ai recorc” (alla vita rispondiamo / semplicemente come al cellulare / con anima vuota / senza pace e amore colmo. / i tempi ci abbagliano / di ghirlande e ricchezze / lasciando alla fame / lasciando ai ricordi).

La poesia in friulano sembra caratterizzata qui da uno stile tendenzialmente narrativo, che in alcune scritture privilegia importanti tematiche storico-sociali, in altre riferimenti ad argomenti più intimi e umanamente condivisi. I testi di Antonella Sbuelz “traggono ispirazione dalla sua microstoria personale e affettiva (…) nella quale ha fatto irruzione la storia collettiva – sovente tragica – dell’intero Friuli”: “E jo, come cuant che o jeri frute, / o cîr su la piere de tô tombe / un dongje di vuere lontane / il lontan dal cjalâ cence viodi / il viodi ch’al scunfine dai cunfins / il sens crevât dal vivi e dal murî” (E io, come quando ero bambina, / sulla pietra della tua tomba / cerco il vicino di una guerra lontana / il lontano del guardare senza vedere / il vedere che sconfina dai confini / il senso spezzato del vivere e morire).

In un preciso sfondo storico si situano le “vicende segnate da sofferenza profonda” presentate da Gianluca Franco, con una particolare introspezione psicologica dei protagonisti della narrazione, quali il bambino relegato in un orfanotrofio della prima guerra mondiale, o il carabiniere che osserva la scena della strage di Peteano (1972): “Sandri s’inzenogle tal neri dai pinsîrs / Cuant ise che un om al finìs di jessi om?/ Cuant ise che la cjar no je plui un cuarp? / Fin dulà rivaraial a dulî dut chest mâl?” (Alessandro s’inginocchia nel nero dei pensieri / Quand’è che un uomo finisce di essere uomo? / Quand’è che la carne non è più un corpo? / Fino a che punto farà male questo dolore?).

Da sempre si connota in senso etico la poesia di Francesco Indrigo, rivolta a denunciare le storture sociali derivate dalla logica del profitto e del consumismo che ha alterato il mondo rurale e stravolto l’ambiente naturale: “E cualis peraulis doprâ par disi il vuet, / par contâ il slambri dal fîl dal mont. / Tal rival desert di morârs sbregats / a la tiara, da chista nova stirpa / di contadins inseats dal marciat global, / svuarbats dal polvar dal vodagn. / Scorsadis li’ lusignis, ’i sgarfìn tal scûr” (E quali parole adoperare per dire il vuoto, / per raccontare lo squarcio dell’orizzonte. / Nel crinale spoglio di gelsi strappati / alla terra, da questa nuova razza / di contadini abbagliati dal mercato globale, / accecati dalla polvere del profitto. / Bandite le lucciole, rovistiamo nel buio).

Un poematico viaggio tra luoghi reali (del Friuli e di Lisbona) e spazi della mente è proposto da Luigina Lorenzini, durante il quale “si snodano i pensieri, in una continua e sconcertante sovrapposizione di immagini umanissime: talora oniriche, talora naturali, continuamente cariche di rimandi”. Una scrittura che esprime in modo efficace una condizione tipica della nostra contemporaneità, cioè il rapido e a tratti disorientante sovrapporsi delle esperienze nella brevità dei momenti vissuti, che richiede una particolare attenzione per guardare oltre la superficie e fissare nelle parole il valore di ogni istante: “Al è coma so in chešt gî danât / podès fâ me duta la zitât / dutas las vitas pušibîi” (È come se in questo andare dannato / potessi possedere tutta la città / tutte le vite possibili).

Per dovere di cronaca devo citare anche la mia poesia. Nei cinque testi, raccolti in Lûcs/Luoghi, di Nelvia Di Monte  “temi come la stratificazione delle vite nel mondo, i ricordi legati agli oggetti quotidiani o l’intrecciarsi delle vicende nella memoria sono il frutto di un ascolto solidale della vita nella sua dimensione collettiva”. Considerando che, da una più ‘aerea’ prospettiva, “di lontan e pâr / un grant mosaic, la tiare, e no à / nissune frontiere, nessun confin” (da lontano sembra / un immenso mosaico la terra, e non ha / nessuna frontiera, nessun confine).

Assai varia la poesia in romancio dei Grigioni, forse perché tre autori nati negli anni ottanta hanno portato elementi di novità nel rapportarsi alla lingua locale e nella composizione del testo, ad esempio con l’accentuazione degli aspetti fonosimbolici e la tendenza a intrecciare vari linguaggi.

Va alla ricerca “di un’espressione concentrata capace di dare voce a situazioni particolari e ai giochi di pensiero” Dumenic Andry, con forme ritmiche, gusto per la sonorità e polivalenza di significati, cui si aggiunge una piacevole autoironia, come appare nel sogno dell’uomo dai capelli bianchi a cui è richiesta una poesia che non riesce a scrivere: “ma la tinta  / s’inquaglia / e’l palperi es grass // infangà / in seis chant / da cign / nu’m vezzal’l / disparà / e pers / immez / tavellöz” (ma l’inchiostro / coagula / e la carta è oleata // catturato / dal suo canto / del cigno / non mi vede / disperato / e perso / in mezzo / al vaniloquio).

Anche Flurina Badel, “scrittrice sperimentale e indipendente”, si esprime con sorprendenti metafore (“il pensar / es starv” – il pensare / ha una falla), con insoliti soggetti talora impoetici (avanzi di cibo) oppure rendendo protagonisti dei fiori chiassosi che, nel testo Sta pit (Sta’ zitto), approfittano della giocosa sonorità del romancio: “centauras chalamandrins griflas da diavel / scuttinan sfüflan schmaldischan / trafögl talocca da trais boccas / margarittas s’agitan / sprellas sbragian / urtias üerlan” (centaure nontiscordardimé erba strega / sussurrano van fieri bestemmiano / trifoglio straparla da tre bocche / margherite irrequiete / equiseti strepitano / ortiche urlano).

Più intima e colloquiale si mostra la poesia di Carin Caduff che con versi brevi e una curata musicalità dà voce a insicurezze, alla instabilità dei rapporti sociali, alle difficoltà nelle relazioni affettive: “Sco sche zatgi / vess tagliau / resgiau / il ligiom / denter cor / spért ed egls // Oz paras / lunsch naven” (Come se qualcuno / avesse tagliato / segato / il legame / tra cuore / spirito e occhi // Oggi sembri / via lontano).

Nella tradizione delle “poesie linguistiche romance dei Grigioni”, Chatrina Josty “approfondisce in maniera ludico-associativa riflessioni sul quotidiano”, lasciandosi ispirare dalle impressioni visuali e acustiche di diversi idiomi, come in Länggass, una poesia dal titolo intraducibile che assembla parole e frasi lette, sentite, storpiate incontrate per strada. O ricordando una lingua familiare non più parlata: “n’ha büttà ün pêr pleds / miss ün stizi / sco Hänsel e Gretel cul pan // preparaziun invana / las miclas magliadas / da las ienas ingordas” (ho buttato lì alcune parole / messo una traccia / come Hänsel e Gretel col pane // preparazione vana / le briciole mangiate / dalle iene ingorde).

Per concludere – last but not least – Claudio Spescha: la sua poesia è un perfetto esempio di “Spoken Word” con cui l’autore utilizza ludicamente gli elementi più fonici della lingua, dialettale e non, per riprodurre la musicalità di un fenomeno naturale (la burrasca) o trattare temi contemporanei, quali l’esagerazione e i nonsens dei media e della pubblicità, o parodiare i paroloni della cronaca sportiva. Una poesia fortemente performativa e basata sull’oralità, che risulta molto godibile a chi ascolta ma sicuramente crea non pochi problemi a chi deve tradurla, come nel testo Persuna virtuala (Persona virtuale): “tschatscher, tschatscherun, tschagrun / truschas groma, ti canun / instant groma, fas tamtam / ti, ti, ti sin instagram” (ciarliero, ciarlone, credulone / sbatti panna, tu cannone / doppia crema, fai cancan / tu, tu, tu su instagram).

La molteplicità di temi e argomenti emersi dalle letture dei poeti e delle poete durante i due giorni del Festival è la più chiara dimostrazione che la poesia nelle lingue cosiddette minoritarie non ha nulla di localistico o anacronistico nei contenuti, dal momento che è pienamente inserita nella contemporaneità, è attenta alle sue problematiche storico-sociali e sensibile alle odierne difficoltà esistenziali. In più sa mantenere una particolare propensione alla memoria come solida base al presente, che troppo spesso tende a rimuovere e dimenticare, e un’apertura al dialogo e al confronto come momento di reciproco arricchimento. E la varietà di stili, strutture formali e scelte semantiche svela concretamente come queste lingue ‘dialettali’ sappiano stare al passo con le moderne esigenze espressive (oltre che letterarie), innervando lingue antiche e ancestrali con novità sintattiche e neologismi, perché ogni lingua è uno strumento che vive e diviene insieme all’umanità che l’accoglie.

Nelvia Di Monte

Festival de poesia alpina. Poesia alpina d’aldedaincö – Alpine Poesie der Gegenwart – Poesia alpina contemporanea – Poesie alpine dal dì di vuê – Poesia alpina d’ozendi. Antologia a cura di Ruth Bernardi, Annetta Ganzoni, Gabriele Zanello (Edition Raetia, Bressanone/Brixen 2023)