Maria Grazia Cabras ci offre in Dies in tundu – girogiorni, “frammenti” poetici, alternando la musicalità litanica del sardonuorese ad una quasi-traduzione in lingua, in un suggestivo e fascinoso dialogo, al quale ci introduce il titolo stesso.
Girogiorni, giorni in tondo, girotondo: proprio i bambini, con i loro giochi goduti in un continuo presente, senza pensare o percepire né domani né ieri – in particolare nel gioco-rito per eccellenza, il girotondo – dicono chiaramente che il tempo degli adulti è una sovrastruttura illusoria e la liberazione dell’esistenza sta nell’agire questo “girointondo”, il “tempo circolare” che uomini e donne rincorrono nella memoria.
Forse per questo la prima parte della raccolta della Cabras è tutta dedicata al mondo istintivo e chiaro dell’infanzia e si chiude con la glossolalia grecoitalicasarda, null’altro che la manipolazione verbale delle parole, attraverso la ripetizione di suoni e fonemi, per potere poco a poco apprendere il linguaggio: questo, infatti, prima ancora di essere insieme di parole, è articolazione di suoni.
Una sorta di glossolalia fanno il bimbo e la bimba quando imparano a parlare, intorno ai due anni o anche prima; e questa dobbiamo recuperare noi adulti-bambini, per ri-imparare a comprenderci; come non ricordare anche quell’invenzione dei commedianti e dei giullari, poi ripresa dalla commedia dell’arte e in tempi recenti da Dario Fo, che si definisce grammelot? Del resto anche questo “linguaggio” si configura come tentativo di farsi comprendere anche da chi non parla la stessa lingua, ascoltando e ripetendo spezzoni e artefatti di parole e di suoni, che adombrano un significato.
E a proposito di teatro, compone ancora l’Autrice “Nel teatrino delle bambole/ ac-cade tutto il mondo/ concavo e convesso”: è il gioco dell’infanzia che ricrea il mondo nella sua completa forma e nella dualità; tanti giochi, voci, forme che si uniscono, come tessiture di ragni. Ma anche giochi che fuggono da miserie e guerre, sotto un “egro novilunio” luna nuova e malata, mentre s’apre tra i riti ludici infantili, come un lampo di dolore, la morte di bimbi sulla riva del mare. Afferma nella sua nota la Cabras: “…nella prima parte del libro…una “Infanzia vivente” selvatica attraversa con il corpo gli spazi luminosi della natura in maniera intima, quasi pànica, suscitando stupore nei bambini custodi e creatori instancabili di mondi. Viceversa, le regioni più oscure dell’infanzia testimoniano l’esistente, lo svelano: guerre abusi abbandoni: baratri cupissimi, al limite della indicibilità.” Nella Poesia riemerge con la memoria, anche la piaga del lavoro minorile, quasi ad espiare una colpa (di miseria, dei padri?) “Le mani del piccolo muratore/ pinne remiganti nell’acquasantiera” e non è meno tragico della guerra, dai labirinti della quale “esce la memoria/ ferendo parole” facendo del male alle parole!
Dunque, la Poesia della Cabras è una riscrittura di memorie per conservare e tramandare: e sembra chiedersi se non sia un passatempo – un gioco da grandi – “forse è il gioco di un amanuense questo ri-copiare parole…” in un confronto o in un continuum con il gioco di bimbe e bimbi. Certamente, lo è, ma è un confronto perdente: nessun gioco adulto è paragonabile all’esperienza giocata dell’infanzia, al canto dei bimbi che si leva insieme al volo degli uccelli; nessuna scrittura è assimilabile alle loro voci, che leggono libri e mescolano favole e miti “Pagine leggono voci/ di bianco vestono il tempo/ dispiegando vele levigano mari/ soccorrono il ciclope e il burattino”
E quando si ripresentano vele e mari, oramai, di necessità, vanno oltre l’infanzia, “fummo culla e vele / verso porti d’infanzia// l’incanto le nuvole la bruma/ ci portarono altrove…” e resta la nostalgia di “cose umane legate a storie antiche” mentre il pane sulla tovaglia e il pulviscolo della stanza tracciano sentieri e disarmonie nel quotidiano. Nel frattempo, accade che la memoria possa sbiadire, perché non si possiede più lo sguardo limpido “l’infanzia dall’occhio chiaro/ riconosceva quel passaggio…” e si è ormai prigionieri del tempo tutt’altro che “girointondo” essendo proiettato, come una freccia, verso “mattine di poca luce e luoghi spogli”;
Cosa resta? In questo verso si intravede una prospettiva“l’asfodelo del nord inghiotte ossa”, perché il fiore, già dall’antica Grecia associato ai morti, è anche fiore per un delicato miele e per cesti di vimini, distillati e intessuti dalla gente Sarda.
Sembra ricomporsi, proprio grazie alla natura, e in particolare all’asfodelo, l’unità di concavo e convesso, resa possibile nel gioco dell’infanzia e nel “girotondo” della memoria.
Un profilo nel coro
voce di grembo
: il sole è femmina – dice
arbitrio dell’infanzia
lemma che passa
Filastrocca della Via Lattea
Jana Janedda
portami con te
sulla Via Lattea
a cogliere fili di luce
a pescare stelle
per tessere vestiti manti e
cappelli
per tutti i bimbi belli
così la terra sarà come il cielo
Janedda mia Jana
portami con te
sulla Via Lattea
il gioco va incontro a uno sgomento
brado, beve gli occhi
la schiena la stanza l’albero
il verde delle foglie o delle stelle ?
tutto confonde questo cuba-cuba
e la lente non aiuta se fa buio
cerchiamo nel cielo un’ala di luna
che ci guidi verso casa
l’asfodelo del nord inghiotte ossa
a niente servirà la prima luce d’autunno
sul cuscino
la notte consuma già manti e ombre
le pupille, neri occhi di papavero
vegliano la fatica dell’ape
tra i banchi di scuola
segni minuti di transumanza
colorano sui quaderni un’anima
scivola lungo muretti a secco
nei dirupi in mezzo agli arbusti
fino a un ovile
nella crepa di una cancellatura
appare un gregge che bruca
il pastore con accanto il pane il vino
e una piccola fiamma
Maria Grazia Cabras, Dies in tundu – girogiorni, Ed. Cofine, Roma 2020
Maria Grazia Cabras è nata nel 1954 a Nuoro. Ha conseguito il diploma in Neogreco presso il Dipartimento di Lingue Straniere dell’Università degli Studi di Atene, città in cui ha vissuto per molti anni lavorando come traduttrice e interprete. Ha pubblicatole sillogi: Viaggio sentimentale tra Grecia e Italia (2004), Erranza consumata (2007), Canto a soprano (2010), Bambine meridiane (2014), Bestiario dell’istante. Poesias in duas limbas (2017). Insieme a Loretto Mattonai, Fuochi di stelle dure: cinque ballate e un attittu (2011), e Periplo della cruna (testi surreali e segni) di cui, fino ad oggi, sono usciti cinque volumi in tiratura limitata. Ha tradotto dal neogreco al sardo-nuorese poesie e testi in prosa di autori greci, tra i quali Aléxandros Papadiamántis e Kóstas Karyotákis. È redattrice della rivista “L’area di Broca”.