Di questo nostro esistere di Rita Imperatori

Recensione di Ombretta Ciurnelli

 

                                                                                 io vengo verso te mare in tempesta,
                                                                                tu plachi le mie onde e sei più ricco

 

Vivere è sentire anche il dolore: così recita un verso della lirica che apre “Di questo nostro esistere” (puntoacapo editrice, pasturana 2019), l’ultima raccolta della poetessa umbra Rita Imperatori, un’intensa riflessione su sentimenti, relazioni, affetti, nonché sui vuoti e le assenze che inevitabilmente segnano il nostro vivere, a volte vissuti e ripensati  nella finzione di avere la serena consistenza delle pietre, / indifferenti al destino che le attende, continuando, tuttavia, a costruire ponti, perché il senso del vivere sta nello scambio con gli altri e nel custodire gelosamente memorie e frammenti, convinti che qualcosa, forse una scintilla del divino, aspetti di essere cercata.

Ivan Fedeli, nella sensibile e attenta “lettura” che precede la raccolta, nota come l’urgenza per l’Autrice sia in fondo «partire, andare, tendere verso» perché «nello slancio l’essere incontra l’altro, lo compenetra e si completa in esso e con esso».  La necessità è, quindi, percorrere il cammino, sino alla fine, e non importa che ad accoglierci sia un Padre oppure il nulla, in un viaggio che si compie senza un ancoraggio di ascisse ed ordinate, senza fedi consolatorie che ci sollevino dal peso delle tortuose salite del nostro vivere, pur ricercando instancabilmente un varco, magari uno sbaglio di natura o l’anello che non tiene (E. Montale).

Le tristi occorrenze che segnano il nostro cammino e che declinano l’assunto iniziale (Vivere è sentire anche il dolore) sono anche quelle intime e personali che si legano a “partenze” improvvise e definitive, che divengono assenze così profonde capaci di asciugare ogni nostra lacrima. Ma anche qui cogliamo la speranza di una scintilla, di un segno, di un suono da scorgere nel vivere quotidiano, nella volontà – o piuttosto nel desiderio insopprimibile – di non recidere un filo e nella indefinita e indefinibile speranza che il filo possa riannodarsi perché il paradosso dell’amore è per l’Autrice che duri oltre la fine e si rinnovi.

Il canto di Rita Imperatori si fa anche poesia civile e con pacata indignazione racconta significativi frammenti del dolore che segnano la nostra storia, nell’illusione che sia possibile scegliere un proprio paese capace di negare ai più forti / il diritto di credersi i più giusti. Nella lirica “Deborah” si fa riferimento alla violenza contro la donna, in “Perdonami, figlio di ogni donna”, si ricorda il sangue che segna la striscia di Gaza, nella condivisione di un dolore oltre la geografia di guerre e conflitti: Sono madre anche dell’uomo / che regge il figlio insanguinato / e lo tende a un dio che s’è distratto.

Nella silloge di Rita Imperatori c’è anche il canto per la propria terra, colta quasi in una dimensione panica e descritta con un profondo senso di appartenenza, sempre lontano da toni encomiastici, come nelle pennellate che tratteggiano l’elegante leggerezza di Spello o nella poesia “Per caso, in quella terra” ove così recita: Sono fatta di ulivi e di vigneti, di grano e di granturco; / ho addosso le vie strette dei borghi medioevali.

E, infine, ma non da ultimo, il mondo degli amici animali, quelli che colorano di affetti profondi la vita dell’Autrice, quelli da cui si imparano le più autentiche lezioni di vita: il perdono, / l’orgoglio e la pazienza, quelli che non vorrebbero […]essere altro da ciò che sono, mentre ogni volta la storia è testimone del disagio degli umani d’essere dentro il limite imposto da natura, provando ciascuno a farsi un dio.

Imperatori modula il suo canto in testi di varia lunghezza e in versi per lo più liberi, spesso con andamento prosastico, a volte anche con ruvidezze piuttosto che con propensioni liriche, in un canto che vuole dare ritmo al fare quotidiano e che torna, come un’eco, a consolare. In proposito Fedeli nota opportunamente come lo stile dell’Autrice non sia «mai lezioso e ripetitivo», ma abbia «il senso del garbo, della misura, della perfetta identità tra respiro personale e respiro del Lettore».

Rita Imperatori, Di questo nostro esistere, Prefazione di Ivan Fedeli, puntoacapo editore, Pasturana 2019

Rita Imperatori è nata e vive a Perugia. Laureata in Lettere moderne, ha insegnato Italiano e Storia in Istituti di Istruzione Superiore delle province di Belluno e Perugia. Nel 2007 si è laureata in Giurisprudenza con una tesi in Diritto internazionale. Ha pubblicato le seguenti raccolte di poesie: Ilari disastri (Umbria Editrice), La pelle delle cose (Libroitaliano World, 2008), Ilari disastri. Seconda edizione (Cesvol Editore, 2016), La seconda parte (Leonida Edizioni, 2017), Di questo nostro esistere, Puntoacapo Editrice, Alessandria, 2019. Figura tra gli autori recensiti in P. Tuscano, Poesia e Umanità. Saggi e ricerche di letteratura umbra, Umbria Editrice, Perugia, 1979. Suoi testi, inoltre, sono stati pubblicati in varie antologie. Ha ottenuto riconoscimenti in importanti concorsi letterari.


Del perduto amore

Assopito nel fondo di un cassetto
credevo custodito il sentimento.
Graffiata dalle spine del sospetto
trovato avevo un sano lenimento:

distogliere il pensiero dall’amore
godere d’ogni istante del presente
altre rime trovare per il cuore
dell’assente il calor dimenticare

convinta ormai di ritrovare intatto
spento che fosse il demone dell’ira
l’incantamento sottostante al patto.

S’è perso, invece, forse sopraffatto
da un pensiero che in me diuturno gira:
l’amore vero è quello del mio gatto.


Coda di pavone e corna d’alce

Se fossi bella e giovane oserei:
sfilaccerei i rifiuti uno ad uno,
affilerei le rime per pungere i distratti,
sarei coda di pavone e corna d’alce.

Così, senza il piumaggio da richiamo,
posso soltanto modulare qualche canto
che dia ritmo al fare quotidiano