Divagazioni, divertissement, diletto? Le definizioni colgono solo una parte dell’essenza, restringono il campo e, delimitandolo, lo tradiscono, restituendone, appunto, una versione tranquillizzante perché divulgabile. È bene, allora, diffidare di etichette sbrigative, sottrarsi alla tentazione di catalogare. Consiglio, questo, particolarmente calzante per Mi hanno detto di Ofelia di Cristina Bove. Silloge proteiforme, nel senso più ampio e nobile del termine, perché dalla ricchezza e dalla mutabilità di forme e di declinazioni della poesia essa trae una linfa originalissima. La parola, quanto mai duttile qui, attraversa tutti gli stati della materia e altri ne crea, mescolando sapientemente e in guisa mai scontata gli elementi ‘naturali’.
Chi legge è invitato qui ad avventurarsi su Holzwege, sentieri interrotti nel bosco, a seguire vene sotterranee erroneamente date per esaurite, a percorrere traiettorie divergenti dal canone consolidato, anche da quello che l’epidermica impressione può far percepire come inusuale e innovativo e che troppo spesso, nella poesia contemporanea, non osa oltrepassare la striminzita e logora tessera del canovaccio pseudo-ermetico-essenziale.
Anche laddove è chiaro il riferimento alla mitologia (Divagazioni a Cnosso), all’arte al quadrato (Decodificando Godot, Mi hanno detto di Ofelia, La regina della notte), all’immaginario onirico condiviso (SubLIMINALE), agli universali empirici ed esistenziali (Bora, Diversamente stabile), l’esito, esattamente come il percorso, non è mai anticipabile.
Le dislocazioni (così recita il titolo di uno dei componimenti della silloge), le distonie, le dispute tra l’io lirico e le ‘persone’ nelle quali si imbatte (Una lei senza età a un lui che non sa, Una ciotola), tra l’io lirico e le sue anime (Lei, ma forse io), tra l’io lirico e le sue ‘occasioni’ (Che sia così?), non sono mai fini a se stesse, non si esauriscono nel guizzo di cifra meramente estetica, ancorché raffinatissima – e l’eleganza che unisce talento innato a sapiente e originale rielaborazione è tratto caratteristico di tutti i componimenti, non solo, come è naturale aspettarsi (l’attesa non resta, ovviamente, delusa) dei calligrammes (Tau, Perché la resa) .
Si rifugge la salvezza a buon mercato, ma si diffida anche di quella che appare come freddamente ecclesiale (Inamovibile, Kyrie Eleison). La parola è al tempo stesso grimaldello per una ricerca ininterrotta, barlume di sollievo (Amorevol_mente) e sentenza di tormento (Sbalordire).
Nella sua inesauribile polisemia, la parola ammicca e svela, addita una possibile deviazione e lascia intendere che c’è altro. Così capita, come avviene in Contromisure, che il fuoco d’artificio dei cinque sensi evocati lusingati mescolati, fuoco che non disdegna l’illusionismo, si concluda con un appello alla scelta, alla coscienza, alla volontà: “e tu vuoi”.
“Ma ciò che resta fondano i poeti”, afferma Hölderlin a conclusione della sua celebre lirica Ricordo. Dinanzi al tempo, con le sue cesure (Pessime chiusure il tempo) e con i suoi inattesi spiragli (Aperture a latere), ciò che resta è la memoria, salda e inesorabile (Del non poter dimenticare, Per aspera), oppure esotica e fortemente evocativa (Sherifa, Daojiao), enigmatica e ‘misterica’ (Al_kimiya), matematico-musicale (Prossim’ali, Karma, Dado di fatto) o, più semplicemente, Ipofania.
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Cristina Bove, Mi hanno detto di Ofelia. Prefazione di Anna Maria Curci. Postfazione di Francesco Marotta, Barcellona Pozzo di Gotto, Edizioni Smasher, 2012
Anna Maria Curci
Controsogno
Eccomi qua – disse la voce –
clangore per le scale
il chiavistello un nome da girare
aveva atteso ritta alla finestra
il passo ignoto
nel petto accelerato il ticchettio
straniera la sua ombra
sfiorava il corrimano
lei seduta nel corpo ad aspettare
giunse che l’aria già lo conosceva
l’aveva assaporato anche nei gesti
il tuffo nel suo nome detto piano
e fu improvviso il tocco, si riscosse
col cuore che suonava
più forte della sveglia
a ridestare
Gegentraum
Hier bin ich – sagte die Stimme –
Schall im Treppenhaus
der Riegel ein herumzudrehender Name
sie hatte aufrecht am Fenster auf den
unbekannten Schritt gewartet
in der beschleunigten Brust das Ticken
fremd streifte
ihr Schatten den Handlauf
sie saß im Körper und wartete
er kam, da kannte ihn die Luft bereits,
das Tauchen in seinen leise ausgesprochenen Namen
hatte sie auch in den Gesten gekostet
und jäh war die Berührung, sie kam wieder
mit dem Herzen zu sich, das lauter
klingelte als der Wecker
zum Wiederaufwecken
(traduzione di Anna Maria Curci)
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Cristina Bove è nata a Napoli il 16 settembre 1942, vive a Roma dal ‘63.
Ha pubblicato tre raccolte di poesie per la casa editrice Il Foglio Letterario: Fiori e fulmini (2007) Il respiro della luna (2008) Attraversamenti verticali (2009); è presente in diverse antologie: Antologia di Poetarum Silva (a cura di Enzo Campi) Auroralia (a cura di Gaja Cenciarelli), La ricognizione del dolore (a cura di Pietro Pancamo) Antologia del Giardino dei poeti (curata da lei e da altri poeti).
08/02/2013