Con il lapis* #35: Maria Pia Quintavalla, Estranea (canzone). Nuova edizione riveduta. Prefazione di Andrea Zanzotto. Nota di Marisa Bulgheroni. Introduzione dell’autrice, puntoacapo 2022
Ma per intanto (onde) ne cominciavano
un inizio a trasportare, voci rumori
di altro tempo ma anche per altro modo,
per altro lido in avanti (e così).
La sensazione del tempo che passava
nello spazio e lo lisciava (lo
pettinava e arava a lungo)
permase rimase, diveniva cosa
tangibile in altre cose, in nuova vita:
(p. 30)
Dal I Canto, che appare nella prima delle due parti che compongono il volume Estranea (canzone), il secondo momento (per un totale di sei, distribuiti su sei pagine), qui sopra riportato, costituisce il punto di partenza per l’itinerario nella nuova edizione riveduta (la prima edizione, del 2000, apparve presso l’editore Manni con una nota di Andrea Zanzotto riproposta in questa edizione), che Maria Pia Quintavalla ha pubblicato nel settembre 2022 per i tipi di puntoacapo.
Gli attacchi narrativi, che si inseriscono armoniosamente nel tessuto dei versi, sono ben evidenziati dal ricorso costante al tempo imperfetto del modo indicativo, tempo verbale dominante in tutta la raccolta.
Questi versi sono animati e attraversati da un moto che si volge in direzione del canto: a conferma di ciò, va sottolineata, in altri versi, la ricorrenza, eloquente per misura e maniera, del verbo “cantare”, variamente coniugato, e del sostantivo “canzone”.
Nei versi riportati all’inizio appare inoltre un’espressione che viene ripetuta anche nella seconda parte e che contempla un’accoppiata cara a Maria Pia Quintavalla: «pettinava e arava». Ritroveremo questa coppia di verbi nel Canto VIII, all’inizio della seconda parte. Anche in quel caso i due verbi abbinati sono collegati al sentimento del tempo che trascorre: «La sensazione del tempo che passava/ nello spazio la pettinava e arava a lungo» (p. 76).
Un refrain, sembra lecito poterlo così definire, che introduce la ripetizione sia nella narrazione sia nelle immagini e che si alterna o, per essere più precisi, si allaccia ad allitterazioni convincenti («Balaustrate e brezze», p. 39), ad altrettanto convincenti e avvincenti aggregati («temeavute», p. 45; «risoavute», p. 84; «beneavuto», p. 88, «frateriosa», p. 46) e creazioni lessicali («nastra», p. 34; «Meragiandate», p. 41; «malleate», p. 48: «fotograffita», p. 87), a parole in spagnolo, la lingua della madre, precedute dall’articolo italiano («le huevas», p. 59), a un «meprisare» che sgorga, con il significato che ha in quella lingua, direttamente dal francese “mépriser”, a nomi geografici diventati universali tanto da essere riportati con la minuscola («un poco stige un poco nilo/ inferno senna», p. 58), a ortografie di derivazione medievale («quello foco», p.31), a lemmi meno usuali («denegato», p. 81), a rime interne, a cambi di iniziale e celebri citazioni ritoccate che, sorridendo, spiazzano («di pose e viole» p. 61; «Le donne i cavalieri le armi/ gli odori», p. 67), a un ritmo cadenzato che non sminuisce, ma, al contrario, esalta le considerazioni di carattere filosofico.
Anche in questo caso, come ebbi modo di affermare qualche anno fa in occasione di una riflessione sulla poesia di Maria Pia Quintavalla (si trattava, allora, di Quinta vez), si manifesta, da parte dell’autrice, una vera e propria “raccolta del testimone trobadorico”, laddove, si badi bene, la trobadora o trobairitz raccoglie, senza mai dimenticare le «sorelle», favole, fole, frottole da tempi e spazi diversi, intreccia la vita con il “trobar”, fa incontrare gli strambotti con la «memoria suburbana» (p. 83), intona melodie di pianura, che, «padanamente/ assise intorno a centro piazza», sanno (qui con il duplice significato di avere nozione e avere il sapore) della lingua che si è imbevuta di nebbia e di «bassezza», si è spurgata ed è tornata all’adriatico «mare mite», sanno di luce dolce e luce tagliente, di una vicinanza dolorosa della vita e della distanza presa dal sé per narrarla in “estranea canzone”.
Questa canzone diventa allora, come la stessa Maria Pia Quintavalla sottolinea nella sua Introduzione, epica delle trasformazioni dell’io poetico, da «bambina» a «donna concresciuta» e, allo stesso tempo, epica della poesia dalla seconda metà del Novecento.
Anna Maria Curci
*Con il lapis raccoglie annotazioni a margine su volumi di versi e invita alla lettura della raccolta a partire da un testo individuato come particolarmente significativo.