Con il lapis* #31: Gianni Iasimone, Il mondo che credevo. Prefazione di Manuel Cohen, Arcipelago itaca 2022
risuonava nella vettura e
nella stanza anche in quella stanza
che tagliava nuvole boreali
non più tramonti sul mare
quasi quasi leggo un libro medievale
prima dello scompiglio corporale
uno di quelli pieni di meraviglie
tutto oro ed elevata conoscenza e
pratica quotidiana
ora et labora nell’orto
della essenza della sapienza
il gesto la luce una rosa
amorosa più di ogni cosa
una rosa
(p. 51)
Tratta dalla IV delle sette sezioni che compongono il poema «metà-fisico» di Gianni Iasimone, Il mondo che credevo, il testo racchiude le istanze, i toni e le ispirazioni, differenti e aggettanti su un filo che si intreccia per trame estese, tra i poli dell’indignazione – là dove l’amaro disincanto non è mai resa, o perlomeno là dove esso alla resa non si arresta – e del sogno, nutrito, questo, del cibo quotidiano della poesia in più lingue e a più latitudini, con la piena consapevolezza che questi poli tendono l’uno all’altro e convivono, attraendosi reciprocamente e combinandosi l’uno con l’altro in espressioni dinamiche e sempre originali. Il volume che Arcipelago itaca ha ristampato nel 2022 con prefazione di Manuel Cohen, fu pubblicato la prima volta nel 2005, con nota introduttiva del compianto e indimenticabile Giovanni Nadiani, dalla casa editrice Mobydick di Faenza.
Leggere oggi i versi di Il mondo che credevo permette di attraversare non solo la geografia, dall’Emilia Romagna di residenza all’Alto Casertano di Pietravairano, città natale, e la storia recente dell’Italia dei primi anni del nuovo millennio, ma anche un lavoro significativo su musica, tonalità e corpo della parola poetica.
Lo scrittore tedesco Alfred Andersch scriveva in una sua poesia-manifesto: «Indignatevi il cielo è azzurro» e Gianni Iasimone unisce canto popolare (Giovanni Nadiani) e teatro di parola (Manuel Cohen) sul suo pentagramma ampio, sulle sue diffuse indicazioni di regia e di ritmo (rap, ballata, blues, epigramma, epitaffio esclamativo), sui tributi alla poesia amata e riportata sia nei versi in esergo sia nel corpo del testo. Nell’unire canto e dramma, Iasimone intreccia fisicità, non solo corporeità, ma anche attenta osservazione della physis (quasi in uno slancio di adesione a quella forza primigenia, per contrapporsi al nomos distorto, alle aberrazioni alle quali sono state sottoposte le convenzioni, le norme, le regole imposte dalla polis) e sguardo rivolto all’oltre. E se il sarcasmo genera un’espressione poetica che si avvale di neologismi pronunciati, scanditi o lanciati in aria come fuochi d’artificio umoristici e dissacranti, la predisposizione alla meraviglia rivela discese nell’oscuro («All I know is a door into the dark», Seamus Heaney citato in esergo a p. 41; «verso il nero fondo di questo mare»; p. 94) e vertiginose elevazioni: basta solo, con caparbia speranza, «inserire la marcia/ di questa ritmo scassata/ ma che ancora brilla e/ via verso oriente» (p. 94).
Anna Maria Curci
*Con il lapis raccoglie annotazioni a margine su volumi di versi e invita alla lettura della raccolta a partire da un testo individuato come particolarmente significativo.