Con il lapis* #18
Alessandro Brusa, L’amore dei lupi. Prefazione di Sonia Caporossi, Giulio Perrone Editore 2021
Ho dato alle ossa forma di parole malate perché
quest’arte è solo un’altra parte
un altro vetro a corrompere la carne – in su
fino alla pelle – a trovare corpi che possano vivere come il mio
che perverso sono e pervertito
ma perdonato seppur dannato
(p. 87)
Le ossa, la carne, la pelle, i corpi, in parvenze umane e ferine, si saldano con le parole – malate, esplicite, crude, aguzze come le punte di un dolore che pugnala tra le costole e spezza il respiro, sempre chiarissime e acute – scritte (verrebbe da dire: tatuate) con inchiostro indelebile, espresse, emesse, espulse dalla cavità orale, scivolate da una mano che si è aperta improvvisamente dopo essere stata a lungo chiusa a riccio.
Una saldatura, questa tra il lavorio del dolore sul corpo e la scrittura, che è pungolo a inoltrarsi in territori ‘selvaggi’, aspri, refrattari a qualsiasi tentazione, a qualsiasi tentativo di edulcorazione, di arrotondamento, di annullamento dell’attrito. Una saldatura che è altresì fondamento di un canto ‘altro’, perfino di un «canzoniere per un amor scortese», come recita il titolo della seconda tra le cinque sezioni che compongono la raccolta di Alessandro Brusa L’amore dei lupi (Giulio Perrone Editore 2021), che annuncia già nel titolo il suo itinerario tra dimensioni che canoni consueti solitamente tendono a considerare inavvicinabili: l’arte (poetica) e la natura, che l’immaginario, tramite il portato simbolico così come per mezzo di una carnalità evidente ai sensi, profila, evoca, percepisce come selvaggia, bramosa, temeraria nei suoi desideri.
Non c’è odore, non c’è spinta, non c’è secrezione alla quale l’etichetta secolare di «osceno», «pervertito», «perverso» possa impedire di venire pro-nunciata in L’amore dei lupi, giacché, se «quest’arte è solo un’altra parte», della parte «oscena» occorrerà scrivere senza dimenticare che essa convive con quella parte che aspira alla enunciazione, alla nominazione. Pornografia? Se si intende qui, risalendo il corso dell’etimologia, come “scrittura del lupanare”, scrittura di ciò che si discosta da ciò che viene comunemente ritenuto decoroso, sì, tuttavia, torno a sottolineare, scrittura saldata al discorrere d’amore.
Ne discende un viaggio in versi, articolato in sei sezioni i cui titoli brillano per richiami intertestuali a opere letterarie, dalle poesie alle fiabe, così come a testi di canzoni e ad abbinamenti noti, qui ‘raggirati’ (“amore eterno” diventa “Amore Terno”): E giro in un cerchio diamante, Canzoni per un amor scortese, L’Amore dei Lupi, Dell’Amore Terno, Tredici corvi su lenzuola grigie e viola, L’Ultimo Lupo.
Con chiavi d’accesso rivelatrici – gli esergo di Proust, Pessoa, Lorca, Marco Aurelio, Marziale ‘riscritto’, Yourcenar, insieme all’indizio testuale e sonoro di Blackstar di David Bowie -, L’Amore dei Lupi attraversa le stagioni, i tagli e gli strappi di una storia, da una semina, un inverno («semini vita nei solchi del/ mio inverno», p. 18), a una primavera di deposizione delle armi, di constatazione «che la guerra è finita» (p. 95), conosce, accanto a quella dei lupi, altre gradazioni di ‘bestialità’, diversamente connotate, come quella dei cani; accarezza, infine, con «tocco di vetro e velluto» (p. 85), temi e figure delle precedenti opere di Alessandro Brusa, in versi e in prosa, in particolare della raccolta di poesie In tagli ripidi e del romanzo L’essenza stessa.
Anna Maria Curci
*Con il lapis raccoglie brevi annotazioni a margine su volumi di versi e invita alla lettura dell’intera raccolta a partire da un componimento individuato come particolarmente significativo.