Dieci anni dopo l’11 settembre 2001, Federico Scaramuccia pubblica Come una lacrima, «dramma in due atti sul dolore che (ar)resta. Quello reale delle vite spezzate. E quello virtuale “trasmesso” a tutto il mondo» (dalla Nota al testo), scritto a partire da quel giorno del 2001 e nei mesi immediatamente successivi.
Le parole si susseguono e ricorrono nelle sequenze e nei ritmi rigorosi, nei capitoli ternari della prima parte e nei distici a rima baciata della seconda, nella musica potente e dolente, “nell’eco che deforma in sottofondo”, nel coro a occhi aperti – ché stupore e constatazione, terrore e riflessione sono amplificati lì – e nell’opera tutta, il cui respiro epico non ha dimenticato lo squarcio espressionista.
La memoria, anima e nucleo, è anche nelle forme, mai disgiunte dal contenuto. Se quelle, le forme, si manifestano nell’andirivieni tra imperativo (con “Guarda” iniziano tutti i capitoli della prima parte) e indicativo presente, presente storico, questo, il contenuto, altro non è se non la tragedia dell’esistente e dell’umanità in balia del Leviatano, che qui assume le sembianze di una mostruosa e inarrestabile bolla. La poesia non nasconde, ma, al contrario, scova e palesa lo scandalo del dolore manipolato, straziato: «e non si spacca/ la rabbia gravida prima del parto» (p. 30). La memoria sa far tesoro della pluralità di voci nel tempo. Queste hanno nei distici della seconda parte l’andatura del rap.
Prologo
gente di corsa al principio del giorno
non ne attende l’arrivo né il ritorno
(p. 7)
Guarda è il volo in pace di una colomba
una colomba che cambia la rotta
non porta pace lascia in cielo un’ombra
una colomba rapace che lotta
come un falco con unghie lunghe afferra
la vita dopo spalanca la bocca
Coro
lo tiene fra i denti dentro la bocca
il cibo che è in volo per le budella
e mastica bene prima che inghiotta
(p. 11)
Riepilogo
gente rimasta nella morsa il giorno
dopo con l’occhio fisso annaspa intorno
(p. 23)
Ripresa
non ancora sereno ancora un velo
una buca in terra una macchia in cielo
(p. 25)
una voce roca che toglie il fiato
un filo ben stretto come un cappio
una voce che lotta che gorgoglia
che a volte si blocca e avvolta si imbroglia
la fiamma incerta che dal ventre guizza
che trova un varco che appena si drizza
la punta che trema e balbetta stanca
che vibra nell’aria come una lancia
è un cratere buio che ancora fuma
che nasconde la luce che imprigiona
come lo sguardo che ancora si annebbia
che nessuna lacrima ormai raffredda
una pioggia calda che non si estingue
che annaffia gli occhi e concima le lingue
che bagna la terra e secca nel fango
come un naufragio un abbraccio che strangola
un dolore sordo che non ascolta
condanna chiunque e sotterra la colpa
una bocca ingorda giudice e boia
si apre e non parla poi si chiude e ingoia
fra le macerie spunta solo un fiore
un fiore reciso senza colore
fra le macerie solo un fiore posa
una pianta rossa forse una rosa
(p. 28)
Federico Scaramuccia, Come una lacrima (duemila uno), d’if, Napoli 2011
Su Poetarum Silva, alcuni testi da Come una lacrima di Federico Scaramuccia
Federico Scaramuccia è nato a La Spezia il 14 marzo 1973. Attualmente vive a Milano e insegna in una scuola media dell’hinterland. Presente in volumi e riviste con testi critici e poetici, ha pubblicato alcuni libri di versi, tra cui Ninfuga (Ogopogo 2008), Incanto (Onyx 2010) e Come una lacrima (d’if, Napoli 2011), vincitore del premio di letteratura “i miosotìs”. Ha inoltre curato l’edizione critica della Rime di Gaspara Stampa, in uscita entro la fine del 2013 per la Società Editrice Fiorentina.