Abbraccio visivo e rapidità nel cogliere e raccontare l’essenza di un luogo, di un regno di Suli ri mari/petri/ je terra abbruciata. La silloge di Grazia Scuderi procede intrecciando mito e realtà partendo da un tempo lontano per giungere al presente: C’era n’isula (Cofine, 2022) si presenta alla maniera di una storia favolosa che via via si assesta sul dato oggettivo senza d’altronde perdere la levità che hanno certe apparizioni o squarci intuitivi messi in pagine poetiche cristalline come acqua di fonte. Travagghia a surgiva/china ri pinseri ri ciumi./Parra u ciumi /chinu ri pinseri ri ventu./Ascuta u ventu/ca non voli diri/chi ci succiriu,/je non voli pinsari. (Lavora la sorgente/ piena di pensieri di fiume. / Parla il fiume / pieno di pensieri di vento. /Ascolta il vento / che non vuole dire / cosa gli è successo/ e non vuole pensare).
La fonte linguistica di Scuderi è data da una condizione lirica colma di silenzi, pause, di poche necessarie parole da dire che inducono il lettore avvertito a entrare in punta di piedi in un dettato scritto non solo con l’anima. Da questa immateriale fluida sorgente l’autrice cerca e trae la pepita d’oro della poesia: Comu n’circaturi (…) /cu ’n crivu/‘nte manu/spappagnu/pitruzzi je rina (Come un cercatore (…) / con il setaccio/ in mano/ separo/ pietruzze e sabbia), con accurata attenzione per le piccole e grandi cose con cui colloquiare e tramite le quali porre a similitudine due speculari realtà geografiche, Itaca e Sicilia, della prima enunciando del mito di Odisseo l’assenza, attraverso le parole di chi lo attende nella casa avita; della seconda, domicilio esistenziale dell’io poetante, il dato vissuto del presente. Il riferimento alla statua d’una dea omerica, il cui nome è a chiusura della poesia Spina janca, Pallade Atena (‘Ta Pallara, secondo la vulgata catanese, Cerere secondo alcuni studiosi), è forse da intendersi in funzione protettrice della casa, degli affetti in essa custoditi da parte di una divinità alla quale la mitologia greca attribuisce ruoli e aspetti diversi.
La natura e i suoi elementi, ciò che nel mondo è (uccelli, piante, insetti, erba, alberi, mare) sono oggetto del sentimento devozionale di un io poetante che vede e sente nella musica di vento una condivisibile condizione: Agghiurnari, /abbruciari, / all’ultimu/calari, ovvero tramontare. O trasformarsi, rinnovarsi come il legno degli alberi ( spogli e poi frondosi), su tutti l’albero di ulivo, ritenuto sacro per eccellenza, tanto nell’antichità che nel mito (è dal suo legno che Atena la Sapiente ricava la propria lancia), quanto nella religione giudaico-cristiana (nel vecchio e nel nuovo Testamento è simbolo di prosperità e di salvezza); di legno d’ulivo intagliato è il talamo vuoto di Penelope (Girarisi ‘nto lettu/‘nta niru ri rami/Ascutannu/u lignu parrari – Girarsi nel letto/ dentro un nido di rami / ascoltando / il legno parlare); è di Telemaco lo sguardo sui rami ‘ntucciuniati/c’addisegnunu/u voscu/comu u cori/ro patri/ca non canusciu ( rami contorti/ che disegnano/ il bosco /come il cuore/ del padre/ che non conosco).
Il tema della solitudine si intreccia alla speranza, nei versi di Grazia Scuderi, il freddo dell’assenza al calore del legno, alla solidità di un temperamento poetico ricco di figure, immagini, paesaggi che vanno componendo una galleria (…) e un canto a più voci, tutte profondamente collegate, intimamente unite l’una all’altra (dalla prefazione di Anna Maria Curci), tutte osservate e comprese dalla e alla luce del cuore, occhio paziente osservatore della vita e delle sue stagioni, soprattutto quella ri-sorgente, la primavera e le sue gemme; poesia frammentaria intensa, pittorica, scrive Vincenzo Luciani in postfazione, che lascia il segno. Specie in composizioni brevi che viaggiano in pensieri fintamente (…) ordinari, tratti dalla quotidianità stupenda (…) della natura che circonda chi ha il privilegio di vivere in un’isola-mito.
Alla natura, della natura, Grazia Scuderi scrive con la semplicità del cuore: Quannu l’accua/simulia/ro cielu/accarizzu (quando l’acqua/ pioviggina/dal cielo/l’accarezzo); Rommi a terra/mentri ciuscia u ventu (Dorme la terra/ mentre soffia il vento); in questi come in altri versi, essa è tutt’uno con chi ne sente i battiti, i timori, le paure, il dolore, il presentimento della morte: Chianci ariddu/quannu a ristuccia abbrucia./Sulu arristau/o ventu je senza casa./Supra a terra/unni l’erva non crisci ( Piange il grillo/ quando la stoppia brucia./ È rimasto solo/ al vento e senza casa./ Sulla terra / dove l’erba non cresce). Oppure: Intra giummu/ri frastuca/ca s’annaca a tramuntana/na cicaledda/attrema./ A tarantula/pacinziusa talia./No senti ddu cori/c’abballa,/je chianci/pi chiddu c’aspetta (Dentro un germoglio di pistacchio/ che dondola a tramontana/ una cicalina / trema./ Il ragno/ paziente guarda./ Non sente quel cuore/ che balla,/ e piange/ per quello che l’aspetta).
Maria Gabriella Canfarelli
Grazia Scuderi, avvocato, è nata a Catania nel 1964. Ha pubblicato per l’Editore Rosenberg e Sellier: in Quaderni di Sociologia vol. XLVII, 2003.31, Politiche di sostegno al reddito dall’assistenza alle politiche attive, il saggio dal titolo: “L’ascensore come situazione sociale problematica”. Suoi scritti sono apparsi sulla rivista “La Terrazza”. In poesia ha pubblicato la plaquette in italiano Armonie e dissonanze (2014) e quella in dialetto Ciriminacchi (Edizioni Novecento, 2019). Nel 2021 è stata finalista al Premio Ischitella-Pietro Giannone con la raccolta A testa sutta e nel 2022 si è classificata seconda con C’era n’isula