Carlo e Massimo BARDELLA

Aperilibro n. 9 a cura di Anna Maria Curci

[Dicembre 2017] Carlo e Massimo Bardella, a c. d. Anna Maria Curci, Edizioni Cofine, Roma, Collana Aperilibri n. 9, pp. 32 autocopertinate, euro 5,00.

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 IL LIBRO                 

Questo volumetto, il nono della collana “Aperilibri”, raccoglie alcun testi di due poeti romaneschi: Carlo e Massimo Bardella, padre e figlio. Poesie che coprono un arco di tempo e di storia, personale e di Roma dagli anni ‘50 a oggi.

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CARLO BARDELLA (1903-1981) (nella foto, accanto alla poesia, con il figlio nel 1938) è tra i più notevoli poeti in romanesco del dopoguerra. Orafo, fu a lungo disoccupato anche perché non aveva mai voluto iscriversi al Partito fascista. Nel 1943/1944 fu uno dei capi della Resistenza romana nelle file clandestine del Partito socialista. Con la pace esplose la sua sopita ispirazione poetica. È autore delle raccolte poetiche Fôchi d’artificio (1952) La strada (1963), Sonetti ar Creatore (1976).

MASSIMO BARDELLA (Roma 1933), poeta romanesco, finissimo dicitore, conoscitore esperto della storia della cultura nella capitale – patrimonio, questo, che coltiva e trasmette con un gusto straordinario per l’aneddotica e l’affabulazione – ha pubblicato: Immaginare a Roma (Saggio storico-letterario sul poeta Giuseppe Gioachino Belli). Tra le numerose raccolte di poesie, pregevoli manufatti con copertina artistica, elegante e originale, vanno menzionate: Poesie d’amore brevi; Poesie pe’n sabbato sera (2007); Poesie romane 2007); Poesie d’amore corte (2006); Appunti e spunti (60 Haiku, Natale 2007); Acqua de mare e altre poesie (2007); Un po’ de nebbia e altre poesie (2008); Pazzienza, core mio… e altre poesie (2008); Kyrie eleison e altre poesie (2010); Caro Mario, te scrivo… (2011); Nostalgia color malinconia (2011); Refrèn (Natale 2013); Rondò (2016); Lassa’ fa’ lassa’ passa’ (28 poesie, 10 Haikù, 2017).

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 NEL LIBRO                 

Quando la poesia resiste: Roma, i luoghi e la storia nella poesia di Carlo e Massimo Bardella

Nell’archivio dell’ANPI, nel lungo elenco dei partigiani a Roma, leggiamo queste annotazioni: Carlo Bardella, nato il 4 novembre 1903, partigiano combattente, periodo 8 settembre 1943 – 5 giugno 1944, nelle file del partito socialista di unità proletaria.

È uno degli appigli che la memoria storica ci offre per partire per un viaggio di ricognizione nell’opera di due poeti romani, il padre, Carlo Bardella, e il figlio, Massimo. Mi piace pensare, addirittura, che l’impegno nella resistenza romana di Carlo Bardella possa aver ispirato lo scrittore Filippo Tuena per uno o più personaggi nel suo romanzo, ambientato nella Roma dei mesi successivi all’armistizio Badoglio Tutti i sognatori .

Un altro, per me fondamentale, appiglio è quello donato dalla mediazione di amici, conoscenti, esperti di poesia, in particolar modo di poesia romanesca. La storia dell’incontro con i testi dei due poeti Bardella è per me la storia di mediazioni appassionate, documentate e, come sempre avviene in questi casi, feconde. Per questo secondo appiglio il cammino è inverso, dal figlio al padre, da Massimo a Carlo.

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Come ben racconta Claudio Costa nel contributo “Quando la poesia nasce adulta in età adulta” (apparso sulla rivista “Il 996” e successivamente in Poesie d’amore corte, di Massimo Bardella, edizioni Settimo Sigillo, 2017), ho cominciato anch’io a ricevere da lui questi originalissimi e sostanziosi doni di «un artigianato manuale e intellettuale che si fonde con l’arte poetica» che sono le sue raccolte, stampate in trentatré esemplari su carta finissima e accompagnate da una sua opera figurativa, distribuite con generosità a chi con Massimo condivide la passione per una poesia in cui il creativo e il quotidiano si fondono con l’esercizio della cura e della pazienza, del rispetto per cose, luoghi, persone.

Eccomi dunque a presentare entrambi i poeti, il padre e il figlio, in questo volumetto che ne raccoglie testi particolarmente significativi. Questa breve presentazione intende indicare alcune direttrici: il rapporto con la tradizione della poesia romanesca, le innovazioni e le conservazioni stilistiche, il dialogo con la storia, e, infine, quella particolare forma di sprezzatura costituita dal romanesco essere “scanzonato”. I testi di Carlo Bardella (1903-1981) trovarono accoglienza nelle antologie romanesche di Francesco Possenti e Mario dell’Arco.

Nel CD audio Roman Duo, nel quale recita, alternandole, poesie sue e del padre, Massimo lo presenta così: «Mio padre? Un uomo del Rinascimento. Orafo, poeta, inventore. Guascone come il Cellini, attaccabrighe come il Caravaggio. Ha in odio l’ingiustizia e l’oppressione. Mangiapreti e religioso a modo suo. Fu membro attivo della Resistenza romana». Con la pace – è ancora Massimo a parlare – esplose la sua sopita ispirazione poetica. È autore delle raccolte poetiche Fôchi d’artificio (Tipografia Carpentieri, 1952), La strada (Edizioni Ardita, 1963), Sonetti ar creatore (Edizioni Gabrieli, 1976).

Quanto al legame con la tradizione, prevale in Carlo Bardella la cura del sonetto romanesco, come testimonia la maggior parte dei testi proposti in questa antologia. La tensione che carica di energia a stento repressa tutti i componimenti poetici, che, con mano di orafo, incide la parola, trova il suo incontro con la massima universale, che scaturisce dall’osservazione diurna e dalle peregrinazioni notturne, nelle sestine a rima alternata di “Er giornello” e “Er destino”, le quali, tuttavia, danno l’impressione di derivare, condensato di sfogo e di meditazione, dalla coppia di terzine che conclude di norma un sonetto, pietra permanente, dunque, di paragone.

La storia personale e quella condivisa con le schiere degli «scordati» si mescolano, così come si fondono mestizia e indignazione fattiva. Il risultato è a volte di una attualità sorprendente, come ha affermato Vincenzo Luciani a proposito di quel testo poetico da “tempi di crisi mondiale” che è “Sàbbito senza sole!”

"Questo sonetto sembra scritto oggi; parla, come solo i poeti sanno fare, della crisi economica e dei profondi guasti che la stessa produce nelle famiglie, soprattutto in quelle in cui il capofamiglia ha perso il lavoro, oppure la casa e il lavoro contemporaneamente, come purtroppo sempre più spesso accade a tantissime famiglie italiane. Nella piena indifferenza di quelli che hanno la trippa piena, che quindi non riescono a capire le buone ragioni di chi è digiuno”. Troppo grave il carico di preoccupazioni – Massimo ricorda come il padre fosse stato a lungo disoccupato perché non aveva mai voluto iscriversi al partito fascista – perché il tono scanzonato possa prevalere. Quando questo succede, tuttavia, come avviene per la poesia “Er vino”, la variazione sul tema noto e frequente nella poesia tutta, non solo in quella romanesca, diventa particolarmente efficace, incisiva, esemplare, come nella quartina: «E io che me sentivo peccatore/ me n’agnedi da Giàchimo ar “Grottino”./ Doppo du’ scarafoni de Marino,/ m’intesi tutta mente e tutto côre».

Massimo Bardella (Roma 1933), poeta romanesco, finissimo dicitore, conoscitore esperto della storia della cultura nella capitale – patrimonio, questo, che coltiva e trasmette con un gusto straordinario per l’aneddotica e l’affabulazione –, così si presenta, con una vena di umorismo che scorre copiosa in tutte le sue manifestazioni: «Suo padre Carlo è stato uno dei migliori poeti dialettali del Secondo Dopoguerra e per una strana simbiosi ne prosegue il discorso poetico pur differenziandosi notevolmente nella forma. Allievo mediocre dei Christian Brothers irlandesi, ne assimila lo spirito anglosassone dando il meglio di sé nei campi da rugby. Lasciata l’Università, ad una ipotetica attività giornalistica preferisce una rischiosa e mal pagata rappresentanza di oreficerie, mettendo a frutto le esperienze maturate nell’arte orafa paterna. Quaranta e più anni di vita errabonda forniranno il bagaglio di esperienze, luoghi e frequentazioni le più varie, humus fertile in tarda età per poesie e racconti, inediti, che per un vezzo ereditato dall’arte orafa, assembla in cartelle rilegate in grigio, con carta speciale e disegni numerati e firmate da regalare ad amici e a spiriti emotivamente vicini. ‘Crepuscolare’ con cento anni di ritardo, assimila dal cinema neo-realista la concisione, e l’incisività dei fotogrammi in bianco e nero».

Colpisce subito, come ben ha fatto notare Cosma Siani, la sua emancipazione “dal condizionamento della sonetteria romanesca” nei versi brevissimi, spesso composti da una sola parola. Anche il metro, di conseguenza, ne risente: non si supera, se non con rare eccezioni di decasillabi, la misura del settenario.

"Felicità”, da Claudio Costa definita “sigla e cifra poetica del libro” Poesie d’amore corte, il primo libro di poesie che Massimo scrive all’età di settantatré anni, presenta addirittura monosillabi. Se è innegabile, come fa notare Costa, il ponte con la poesia romanesca dell’ultimo Trilussa (Acqua e vino) e del primo Mario dell’Arco (al quale dedica un’intera raccolta, Caro Mario, te scrivo…), è pur vero che Massimo Bardella ad altre fonti ancora si è abbeverato, e queste fonti sono da individuare in buona parte del Novecento italiano e, come avviene per “Mare”, nei Calligrammes di Apollinaire. Non di rado l’osservazione della natura, come nel menzionato testo “Mare” e, qualche anno dopo, in “Narciso”, offre il destro per il passaggio alla riflessione giocosa e pur serissima su stile e misura della poesia.

È una misura, quella di Massimo Bardella, che rende straordinariamente vivido il dialogo con la storia, e soprattutto con la storia dell’occupazione nazifascista a Roma, che visse in prima persona da ragazzino e attraverso i racconti del padre Carlo, tra i più attivi nella Resistenza romana. Ne danno testimonianza intere poesie e singoli passaggi. La storia attraverso il ricordo può essere molto dolorosa e la similitudine del tarlo in “Giornataccia” ne è un chiaro esempio. La sua irresistibile ironia raggiunge l’apice sia nelle poesie che prendono le mosse da un apparente idillio – un quadretto, dipinto con poche efficaci pennellate, di un fiore (Papaveri, Giunchije), di un merlo, di «piccioni clandestini» che si affollano sul bordo della fontana della Barcaccia a Roma, di pesci nella rete a “Puerto Escondito” – sia nei componimenti che hanno come tema l’amore.

Massimo Bardella trova nella brevità che gli è consona e, a partire dal 2007 fino alla raccolta più recente di questo anno 2017, nella forma dell’haiku, la migliore cassa di risonanza per le sue fulminee e fulminanti soluzioni in romanesco: si pensi a «Ciavevi raggione tu», chiusa di “Primo amore”, , e all’odore «de mistrà» evocato dallo sguardo della ragazza in “Bongiorno”.

Le poesie di Carlo e Massimo BARDELLA

Sàbbito senza sole!

di Carlo Bardella


È sàbbito! ’Gni sàbbito che passa
me fa penzà’ ar proverbio… Ch’eresia!
Nun manca er Sole a un padre de famîa

che ar sàbbito ha da di’: l’ho fatta bassa?



Cammino, cerco, chiedo: “No”. “Ripassa”.

“Forse”. “Nun dò nessuna garanzia”.
Io, se nun fosse ’na vijaccheria,

sbrojerebbe pe’ sempre la matassa.



Crédeme, me ce sento schioppà’ er côre:

sentì’ ’na forza da potecce sfragne

una montagna, e nun trovà’ lavore!

E quanno er pupo ha fame e ce lo dice

Tèta riggira er viso e sbòtta a piagne…

Cristo, che Croce!, che campà’ infelice!

Felicità

di Massimo Bardella 

 


ho detto


… tà


e è finita già.

Primo amore

di Massimo Bardella

cento telefonate
 

cento vorte no.
 

Nun ero
 

er tipo tuo.
 

T’ho riveduta.
 

Bianco er capello 

la faccia tinta.
 

Ciavevi raggione tu


Narciso

di Massimo Bardella

come de vetro

l’acqua
der sonetto
piena de rime

e de relitti antichi

Narciso
ce se specchia
scivola er piede



su l’endecasillabo
more affogato
tra i punti esclamativi