Il tempo dell’attesa varia la percezione della sua durata muovendo fili che non sono immediatamente riconoscibili, dal momento che l’estensione di questi fa capo a mutevoli combinazioni di fattori.
Tre fili d’attesa di Maria Pina Ciancio ha consapevolezza di questa dinamica complessità e la accompagna a una collocazione nello spazio che rende tale particolare epifania dell’attendere vibrante di segni visivi e sonori.
Gli intervalli tra partenze e ritorni possono dilatarsi e condensarsi improvvisamente, ma ciò che conferisce a Tre fili d’attesa una voce inconfondibile è il loro incontrarsi nella lingua-madreterra del Pollino, là dove «Timpa del Diavolo è meridiana senza tempo».
Abbiamo tre fili d’attesa
annodati al calendario del camino
: a bona sciorta
nu’ lavoro ca cunta
u capattiempo ca vene sempre chiù luntano
La buona sorte, un lavoro che vale, l’autunno che arriva sempre più tardi, dunque, espressi in tre versi nel dialetto del paese natale di Maria Pina Ciancio, San Severino Lucano, disegnano le coordinate del tempo dell’attesa tra destino, fatica e alternarsi delle stagioni.
All’interno di queste coordinate, il balzo del cuore pensante si volge avanti e indietro. Quando il movimento è in avanti, esso è caratterizzato da un ricorso al tempo presente che esprime considerazioni di portata universale («siamo nidi sfilacciati sugli alberi d’inverno»), talvolta collegate a una forma del gerundivo che è invito operoso e, insieme, un canto allitterante ai tesori serbati dall’attesa: « Ho un cielo d’inverno da inseguire/ risvegli e riverberi di resine». Là dove il movimento è a ritroso, esso si volge al ricordo e alla rievocazione di vicende singolari ed esemplari, con l’uso ricorrente del passato remoto alternato all’imperfetto: «Sgravò a settembre nel letto/ dell’imbottita rossa/ dove zia Marietta alla buon’ora/ lievitava la pizzicata del pane nero/ Tre giorni covò la febbre/ al settimo Giacomino trapassò/ e anche il livato/ da sotto alla coperta/ in fretta rinsecchì».
Il ricorso all’espressione dialettale non è mai ornamento folkloristico, ma è strettamente collegato alla precisione del dire, tensione risolta efficacemente in un dettato poetico nitido, limpido, e alla nozione circa la necessità, quasi all’obbligatorietà della scelta linguistica, giacché il termine «livato», nel contesto appena menzionato, abbraccia ambiti di significato e richiama sonoramente memorie ben più di quanto possa farlo il corrispondente in italiano, “lievito”.
Le vicende di emigrazione e di aspettative, i «rivoli di storie», le «schermaglie di bambini», la «guerra d’inverno», le «notti difficili da dormire» sono intrecciate, storie condivise e restituite da una voce poetica che sa far tesoro di quel «tempo irreale» che ha il qui del paese tra partenze e ritorni, a «benigne solitudini» lungo un sentiero che sale, che si inerpica per incontrare.
Anna Maria Curci
C’è odore di fresco e di pulito la mattina
quando esci sull’orlo spiegato della strada
odore di pane e di giornali
e voglia di trovarsi dentro un’altra storia
magari in quella del barbiere
scampato ieri notte all’aggressione
che fischietta spensierato sollevando la persiana
*
C’è un tempo irreale qui
che comincia con la neve
e finisce a quaremma
con la strada che si asciuga
e i cani impazziti che rincorrono
il pallone di Antonella
*
Si srotolano gli anni
tra l’asfalto e la luce
che ripiega nel tramonto
Padre e figlio si incontrano a cena
intorno al tavolino
uno mastica lento, l’altro va di fretta
per non inciampare in quel tempo dilatato
e fermo degli occhi di suo padre
che straripa sul cuscino
disegnando rivoli di storie
e ombre inquiete sul suo viso
*
Siamo nidi sfilacciati sugli alberi d’inverno
le guance rosse e gli occhi aperti al cielo
Oltraggiati dalla pioggia
Schermaglie di bambini
senza un grido
Ho un cielo d’inverno da inseguire
risvegli e riverberi di resine
memorie di partenze e di ritorni
benigne solitudini
Sulla via che ci incontra
il vento sale e a te mi riconduce
Maria Pina Ciancio, Tre fili d’attesa. Con una stampa di Stefania Lubatti. Interventi di Anna Maria Curci e Abele Longo, LucaniArt 2022.
Maria Pina Ciancio, di origine lucana, è nata in Svizzera nel 1965. Trascorre la sua infanzia tra la Svizzera e il Sud dell’Italia e da qualche anno vive nella zona dei Castelli Romani.
Viaggia fin da quand’era giovanissima alla scoperta dei luoghi interiori e dell’appartenenza, quelli solitamente trascurati dai grandi flussi turistici di massa, in un percorso di riappropriazione della propria identità e delle proprie radici. Ha pubblicato testi che spaziano dalla poesia, alla narrativa, alla saggistica. Tra i suoi lavori più recenti ricordiamo Il gatto e la Maria falena (Premio Parola di Donna, 2003), La ragazza con la valigia (Ed. LietoColle, 2008), Storie minime e una poesia per Rocco Scotellaro (Fara Editore 2009), Assolo per mia madre (Edizioni L’Arca Felice, 2014), Tre fili d’attesa (Associazione Culturale LucaniArt 2022). Nel 2012 ha curato il volume antologico Scrittori & Scritture – Viaggio dentro i paesaggi interiori di 26 scrittori italiani.
Suoi scritti e interventi critici sono ospitati in cataloghi, antologie e riviste di settore. Recentemente è stata inserita nelle collettive: Orchestra (a cura di Guido Oldani) LietoColle 2010; Il rumore delle parole – 28 poeti del Sud (a cura di Giorgio Linguaglossa), Edizioni EdiLet 2015, Sud – Viaggio nella poesia delle donne (a cura di Bonifacio Vincenzi) Edizioni Macabor 2017.
Con il libro “Storie Minime e una poesia per Rocco Scotellaro” nel 2015 ha vinto la X Edizione del Premio Letterario “Gaetano Cingari”; nel 2014 il Premio Internazionale della Migrazione – Attraverso L’Italia e il Premio Letterario Città di Cerchiara – Perla dello Jonio (con un testo tratto dalla raccolta); nel 2009 il Premio “Tremestieri Etneo” (Targa Antonio Corsaro).
Ha fatto parte di diverse giurie letterarie, è presente in numerosi cataloghi e riviste di settore.
Dal 2007 è presidente dell’Associazione Culturale LucaniArt ONLUS e su internet cura lo spazio web lucaniart.wordpress.com.