Ballate scelte di François Villon, tradotte in italiano e friulano

Recensione di Nelvia Di Monte

 

Tradurre è operazione ardua e contraddittoria, che spinge il traduttore a considerare tutte le potenzialità di una lingua, fosse anche ‘minoritaria’ come quella dialettale, qui il friulano del paese di Bagnarola in provincia di Pordenone.

La scelta dell’autore e dei testi da tradurre (se non dipende da richieste esterne) risponde a finalità e criteri personali, che di solito il traduttore esplicita in una assunzione di responsabilità non solo letteraria. In L’arte della traduzione poetica Joseph Tusiani affermava che dovrebbe “esserci un’intuitiva concordanza d’ispirazione tra il poeta e il ricreatore di poesia, se si vuole che una composizione viva nel nuovo idioma”. (1) E questa traduzione in friulano appare convincente nella sua vitalità, ben rispondente a quanto Giacomo Vit spiega nella Nota conclusiva: sia la condivisione di alcune tematiche proprie di Villon (“il senso di pietà per i derelitti e la meditazione sullo scorrere del tempo”). Sia l’esigenza, a livello espressivo, di “mantenere la musicalità della versione francese” non riproponendo le forme chiuse originali ma ricorrendo ad un friulano “dalla forte sonorità, che permette di creare un notevole tessuto musicale con un uso accorto di rime, allitterazioni e paronomasie”.

Ecco perché ritrovo il Villon che conosco nella traduzione in friulano, meno nella versione in italiano, che mi ‘suona’ più prosastica, con una resa precisa, talora esplicativa, di alcuni termini e passaggi, ma la fedeltà semantica paga il pegno di una minore fluidità. Ammetto che ci sia un motivo soggettivo nella mia riserva, nel senso che ogni nuova traduzione riporta un testo al presente, provocando un prevedibile disorientamento nel confronto con quella che si è incontrata la prima volta insieme alla poesia originale: benché in parte dimenticata, è come se agisse ancora nella memoria quale pietra di paragone. Questo irrompere del passato nell’oggi tramite le parole crea uno stridìo di fondo, un metaforico maremoto forse inevitabile se ad ogni nuova traduzione italiana di un classico si rinnovano pure le critiche, con entusiastici commenti o feroci alzate di scudi.

Ebbe grande fortuna Villon negli anni della contestazione giovanile, si imparavano a memoria strofe di tante  Ballate, così antiborghesi e ritmate, i cantautori ne estrapolavano versi e tematiche per le loro canzoni. Con le poesie che più ci coinvolgono, viene spontaneo costruirsi una personale traduzione che, per quanto imperfetta, resta saldamente intessuta al proprio vissuto. Per Tusiani: “Il poeta che traduce un altro poeta sa che la sua è prima di tutto un’opera di vita, poi di musica e colore”. (2) Questa considerazione si presta a introdurre un motivo più oggettivo riguardo alla mia perplessità sulla versione in italiano. Infatti, trascurando la “musica”, si perde anche la bellezza poetica, l’intima sonorità della ballata in Villon, l’oralità intrinseca ai suoi testi, che varia dall’invettiva alla preghiera, mutevole e spesso istrionica da teatrante incallito, ma è la cifra che lo caratterizza. E che gli viene universalmente riconosciuta. Ad esempio: di “ritmica mirabile” , di “festa di ritmi eccezionali, destinati a rimanere unici nella poesia francese” parla Mandel’štam. (3) E un’ampia trattazione di come Villon si sia “servito di tutti gli artifici linguistici che la tradizione retorica gli offriva” è condotta da Emma Stojkovic Mazzariol, curatrice del Meridiano a lui riservato. (4)

Giustamente Vit ha cercato di mantenere la musicalità, con attenzione alla sonorità delle parole e “concentrandomi su alcuni termini friulani che raggiungessero tale scopo”. Tradurre un testo poetico vecchio di secoli mantenendo la forma metrica originale è praticamente impossibile, se non fuorviante, e non è nemmeno il fine del tra-durre, attività che vuole invece far rivivere quel testo in un diverso presente: “Il traduttore può, per amor d’accuratezza o aderenza a un pensiero, a un’immagine dell’originale, sacrificare una rima o un’intero schema di rime; ma se è poeta saprà come altrimenti rendere l’eco o la memorabilità che è nel testo originale”. (5)

Ritrovare l’eco di autori che abbiamo studiato una volta e magari accantonato da anni, ecco il dono che ogni traduzione sa recare. Insieme al loro lascito di esperienze, sentimenti, speranze e delusioni. La poesia è uno sguardo sull’umano stare al mondo, per questo risulta molto utile e interessante anche la prefazione di Marco Marangoni, che inserisce Villon nel contesto approfondito da Huizinga in L’autunno del Medioevo. E ci fa riflettere il suo sottolineare come in quel periodo di crisi storico-sociale, di fronte all’ “attività cosmetica di una cultura che gira a vuoto” (e ogni riferimento alla nostra società mediatica non è casuale), siano emersi stanchezza e paura di vivere, l’angoscia per la morte, l’esclusione delle classi meno agiate; ma anche “una pietà laica”, il bisogno di solidarietà, di condivisione dei propri bisogni e desideri. Riportando così Villon ai nostri giorni, pure loro decisamente in crisi. Ogni vero poeta è sempre contemporaneo, e questo libro – con le sue diverse sfaccettature – è qui a testimoniarlo.

François Villon: Ballate scelte (La Vita Felice, Milano 2022). Prefazione di Marco Marangoni. Traduzione in friulano di Giacomo Vit. Traduzione in italiano di Giorgio Bolla. Testo in francese a fronte.

Nelvia Di Monte

 

Note

  1. Joseph Tusiani L’arte della traduzione poetica. Antologia e due saggi (a cura di Cosma Siani, Edizioni Cofine, Roma 2014), p. 119.

Joseph Tusiani (San Marco in Lamis (FG) 1924- New York 2020) è stato poeta in inglese, latino e dialetto, scrittore, critico e traduttore di grandissima esperienza. Emigrato a New York nel 1947, docente di letteratura italiana, ha tradotto in inglese molti classici della poesia italiana, da Dante ai contemporanei.

  1. Ibid., p. 121.
  2. Osip Mandel’ štam Sulla poesia (Bompiani 2003), pp. 116-117.
  3. François Villon Opere (Meridiano Mondadori 2000).
  4. Tusiani, ibid., p. 125.