Arcorass/Rincuorarsi di Maria Lenti

Recensione di Nelvia Di Monte

 

Leggendo Arcorass si è catturati dalla ‘naturale’ mescolanza di lingua e dialetto urbinate, che procede senza forzature in un ininterrotto dialogo della poeta con se stessa come con persone amiche. È un tratto particolare poiché spesso il dialetto usato in poesia riceve una cornice letteraria, un’impostazione che, se lo rende stilisticamente più efficace, al contempo rischia di irrigidirlo, di smarrire l’immediatezza della sua intrinseca oralità. A Maria Lenti, invece, riesce di trascorrere da un’espressione all’altra con una sapiente spontaneità, frutto di una competenza poetica che sa celarsi sul fondo ma intanto sostiene e guida il comporsi del testo. Ed è un comporsi variegato per i molteplici argomenti toccati (ambiti personali e sociali, aspetti storici e politici, una problematica contemporaneità) che si intrecciano e si snodano in modo fluido e convincente, perché così – mutevole, complessa, a volte lieve, sovente contraddittoria – procede la vita. Su questa “diglossia” si sofferma Manuel Cohen nella postfazione, una “partita doppia che vive nella sostanziale fratellanza tra lingua e dialetto, e nel costante metissage, un meticciato memoriale e corporale tra le lingue e le cose che dicono o esprimono, con un occhio al passato e uno sguardo al futuro”.

Maria Lenti sa usare la capacità del dialetto di smorzare gli eccessi con l’ironia o di esaltare gli apprezzamenti con insoliti paragoni («È bel da bestia el mi dialett»), sa giocare con la sua polisemanticità  «secondo contesto cadenza intonazione», come mostrato per i molteplici significati di arcorass in base a differenti situazioni, riflessioni, ricordi. Il dialetto, con le sue massime di concisa saggezza popolare (antropologicamente ben radicata) e con  il suo puntare dritto al nucleo di cose ed esperienze, diviene il filo conduttore per orientarsi mentre si osserva se stessi e il mondo, riflettendo sui momenti positivi come sulle proprie défaillances, o indignandosi per le storture «de sti tempi balordi / de stuffa de muffa de truffa / sensa storia / senza ideali senza memoria». Ma occorre riconoscerne il giusto valore per inserirlo a pieno titolo nella quotidianità dell’esistenza, così da comprendere meglio le sue possibilità e i suoi limiti, proponendo cambiamenti di vecchie formule per adattarle a un futuro che si vorrebbe diverso. O per abbinarlo alle parole con cui si critica il presente, il discorso fasullo del politicante, la «bigiòliga ch’en fnisc pió» (racconto noioso senza fine), la blaga (litania noiosa) del poeta menzognero: «’na blaga (deriva da blague / ma non fa rima con vague / né ha l’aggettivo nouvelle / delle pellicole belle)».

Tanti frammenti giungono dunque a «Armuscinè», a comporre quel variegato miscuglio che è il tempo vissuto al fine di capire ed esprimere – con la giusta voce  e intonazione – quanto accade dentro e attorno a sé, dove costanti sono le altrui presenze, quali i tanti autori citati (dai classici agli stranieri), le cui parole sono diventate parte integrante del proprio percorso umano, oltre che letterario.  Il dialetto offre quella «Saggezza» che dà un buon sapore e rende sopportabile la vita «muscinand e armuscinand / spess ridend» e si presta a rinforzare l’ironia con cui Maria Lenti   affronta acciacchi e piccoli contrattempi, come in «Formiche»: i moderni rimedi e le belle poesie (Whitman, Fortini) lette su questi animaletti non li tengono lontani dalla casa, e infine il buon senso dice che «Se c’èn, se ved che c’han da essa / loro dirette alla cucina / io perplessa» (Se ci sono, si vede che ci devono essere). Come sottolinea Sanzio Balducci nell’introduzione: “Il dialetto è riservato ai pensieri profondi e taglienti da una angolatura popolare. È spesso il momento ultimo della riflessione, il ritorno al pensiero delle origini vissuto da Maria all’interno della sua comunità”.

Molte parole ed espressioni idiomatiche del dialetto di Urbino sono approfondite, in nota, nel loro significato originario e metaforico, talvolta legato ad una precisa toponomastica dove il tempo si distende nello spazio, come avviene sempre nella vita: «Dentra quest’aria / el sogn dla nott i pensier de ieri / la nostalgia di non so cosa / o forse la presenza forte / dell’assenza, ’na baluja / ch’ pesa poch ma fa sostansa / s’en c’ho la frenesia dentra […] tre salutt mal supermercat / ’na caminata ti Vial o ma le Cesan / el postin ch’ sona ’na volta sola» (un’apparenza / che pesa poco ma fa sostanza / se non ho frenesia dentro […] tre saluti al supermercato / una camminata nei Viali o alle Cesane / il postino che suona una volta sola).

Parole ed espressioni della lingua locale non sono considerate ricordi di tempi andati. Ricondotte al presente, lo vivificano con una tonalità più accesa perché riassumono quegli aspetti dell’esistenza umana che persistono invariati nel tempo, a volte amari, a volte divertenti se osservati con il giusto disincanto. Schietta e diretta come il suo dialetto, Maria Lenti non ha remore ad evidenziare le sciatate (gli affanni) dello stare al mondo, suo e quello «di un’umanità infinita». Tuttavia, non perdendo «el fil gross d’una speransa» (il filo grosso di una speranza) e contando su una giocosa ragionevolezza, è possibile scorgere il posto «do’ arveda la luc dle lucciole / saltè tla barca anche se è vecchia / sa la baracca e i buratin / da sistemè magari da ’n’antra part / per arcmincè o per gì avanti » (dove vedere di nuovo le lucciole / saltare nella barca pur vecchia / con baracca e burattini / da fermare magari in altra parte / per ricominciare o andare avanti).

Maria Lenti Arcorass/Rincuorarsi, puntoacapo Editrice, Pasturana (AL), 2020