Alphaville di Mauro Macario

Rita Imperatori

Alphaville, l’ultima raccolta poetica di Mauro Macario, ha un titolo premonitore: annuncia al lettore che lo attende un mondo distopico – a somiglianza di quello raccontato da J. L. Godard nell’omonimo film del 1965 –  incombente e minaccioso ma forse non ineluttabile, a patto che non si consenta alla “notte dei cristalli liquidi” di devastare definitivamente il mondo come  un’ altra notte fece,  quando cristalli diversi furono infranti.

Per ogni lettore, il fascino della scrittura poetica è rappresentato dall’elasticità del codice comunicativo che la caratterizza e che consente l’appropriazione di contenuti magari diversi rispetto a quelli intenzionalmente offerti dall’autore ma comunque compatibili con quanto della sua poetica si conosce.

Muniti del salvacondotto di questa premessa, si può affrontare quasi ogni tipo di raccolta e utilizzare un tema, una suggestione che si siano accampati nell’attenzione del lettore come chiave interpretativa, sperando di non superare il livello accettabile della distorsione dell’intenzione comunicativa di chi scrive.

Quando i testi sono di Mauro Macario, il rischio di scivolare nel fraintendimento miracolosamente si riduce, perché la sua è poesia logica e penetrabile anche quando giocata sulle allusioni o evocativa del suo non comune spessore culturale.

Anche nei casi in cui il dettato poetico genera iperboli, i contesti reali di riferimento sono facilmente ricostruibili, perché hanno lo stigma della vita e dei suoi dolori, attraversati o soltanto contemplati da lontano, ma sempre, comunque, compresi e meditati.

Così intensa e coinvolgente risulta questa raccolta, che il rischio in agguato è invece quello di esprimere il proprio apprezzamento con un repertorio logorato soprattutto dall’uso/ abuso che tutti ne facciamo sui social. Nemmeno una volta, pertanto, scriverò che è “bellissima”.

Cercherò, piuttosto, di rendere conto dell’attrazione che questo libro davvero prezioso esercita con la sua duplice natura: da un lato è fustigatore del mondo contemporaneo e di chi, con una poesia “genuflessa”, cerca di raccontarlo edulcorandone la rappresentazione; dall’altro, dona la delicata, struggente coinvolgente confessione di un modo di essere e di agire.

Si incontrano, così, l’emozionante carnalità del sesso, esplicito e delicato insieme, anche quando il registro è quello del sarcasmo; la fine della comunicazione autentica a vantaggio di una sclerotizzata; il pericolo dell’approdo all’«essere unico», esito spaventoso di un “regresso antropologico irreversibile” a cui conduce “l’amnesia, arma di distruzione di massa” capace di polverizzare la Storia di una Nazione.

E ancora attanaglia la gola la denuncia della pena di morte, condannata senza uno scontato moralismo ma fustigata con il cinismo che solo un soggiorno in Alphaville, destinata a sorgere “sulle rovine neurologiche di massa”, potrebbe inoculare in un osservatore.

E poi la fine degli orizzonti di senso (“filosofie/ religioni/opere d’arte”) infilzati “allo spiedo” dal “cosmico barbecue”, e di ogni  scambio verbale che vada oltre la comunicazione del “codice commerciale” ad una cassiera.

Se si volesse ricondurre ad unità la molteplicità dei temi, si potrebbe individuare come centro irradiatore della ricerca di Mauro Macario sul presente la denuncia dell’impossibilità del fare poesia – “un’invenzione di gente senza palle” – o, forse, di ottenerne l’ascolto, di renderla capace di produrre effetti.

Solo che, se così fosse, Mauro Macario avrebbe realizzato il paradosso di una raccolta densissima di temi di attualità trattati, però, con tale sapienza da sottrarli al contingente della cronaca per consegnarli all’eternità della Poesia.

Mauro Macario, Alphaville. Prefazione di Paolo Gera, Puntoacapo Editrice, 2020

 

Rita Imperatori