Francesco Di Giorgio ha pubblicato a maggio del 2014 la raccolta di poesie A ricercare Dice, Lepisma Edizioni, pp. 92, euro 13.
Di Giorgio, nato a S. Agata di Puglia (Fg..) nel 1952, risiede a Roma dal 1956. Ha pubblicato le raccolte: Il sogno e il risveglio (1981), La morte del gallo dipinto” (1983); Infinitesimale (1989, più volte rappresentato) e il poemetto Allucinazioni in penombra” (1999).
A ricercare Dice, è preceduta da una Prefazione di Giuseppe Gallo a cui si deve anche l’opera pittorica che figura in copertina si compone di un Antefactum e di tre sezioni A ricercare Dice, In universo spento e Assiduae Absentiae.
L’Autore in una nota, che però non figura nel testo pubblicato così si esprime a proposito di questa sua opera: “Da poco ho ripreso il cammino spostando i miei interessi da una scrittura sostanzialmente sperimentale e perfomativa, tendente alla rilevanza fonemica in quanto produttrice di significazioni evocabili ma arazionalizzabili, ad una poetica in cui la parole (saussurianamente intesa) possa colmarsi di tutti i significati che la langue possa concederle, anche attraverso il ricorso a termini e figure topiche in grado, in quanto tali, di riprodurre tutto ciò che in noi è già occultamente noto, calando, per questa via, l’oggetto metaforico in un contesto che, nella sua apperente astoricità, colmi la distanza tra sensibile e invisibile, assegnando al sogno il compito di traghettarci verso l’inimmaginabile, unica zona franca atta a ricollocarci, tramite lo svelamento simbolico dell’esistente, nella concretezza fenomenologica dell’essere”.
Nella Prefazione Giuseppe Gallo osserva: “La sua “fantasia” distilla, goccia dopo goccia, balenìi improvvisi su lividi mari, nuvole gonfie di dolore, venti carichi d’angoscia, algidi freddi estivi che si aggrumano in un clima raggelante che, solo di rado e con scatto di lampreda la luna, una luna leopardiana, strazia e percuote. Ma i cieli, i cieli della modernità, continuano ad essere cieli di bitume, attraversati e percorsi da bateaux ivres! “Follia fantastica” che trascina il poeta nella bufera della carne e nelle macerie dell’anima. Cosa so? Cosa cerco? Che ne è del mio Io? È stato faticoso ricucire il volto… risponde Di Giorgio, quando il silenzio ci spaventa, quando il gesto s’affoca e l’aria si condensa e il giorno è notte perenne, quando il nero affossa l’incubo misterioso dell’invisibile… La bocca è spalancata… e il dramma si conclude: … famelico ansioso di respiro scivola il gesto lungo il profilo del fantasma. (…) Noi abbiamo bisogno di quel dono di parole che Di Giorgio ci regala… perché la sua poesia apre un varco nella nostra indifferenza e ci procura quel senso di sprofondamento che ci costringe a confrontarci con la logica forte e rigorosa della vita. Non siamo in una favola, ma in un inferno vivo e continuo! E cosa ci libera dall’inquietudine di dover essere vittime o eroi incatenati all’arenile desolati…? Ancora una volta è la parola, l’arte delle parole, che in Di Giorgio scroscia fragorosa da quel luogo ignoto dove un gallo dipinto canta, ancora una volta, un inno alla disperata libertà d’essere uomini mentre una lieve pena di luce intreccia liane verso la luna”.
Qui di seguito una scelta di testi dalla raccolta citata:
Antefactum
Il sogno ha lasciato l’immagine scolorita. Filamenti evanescenti. Intrecci ancorati dietro l’angolo come un assassino che ti aspetta per il colpo mortale. Troppa si è fatta stretta l’illusione e l’andamento stanco. Le indifferenze tristi te le giochi alla carta più alta: il re vince. Audaces fortuna iuvat. Miserere nobis. Ossessioni e inconcludenze ad ostacolare il passo. La donna è di picche. Alea iacta est. Tu quoque. Non resta che incamminarsi per lo scosceso periglio. Per vendemmiare sassi non è ancora tardi che di fronte il corvo appiccicato alla grondaia ti guarda distratto mentre un raggio di sole ti ferisce gli occhi. Un triplo salto mortale e mi spiaccico in piedi sul solaio che la civetta se la gode mentre fuori è già notte e me ne sto sveglio con le mie colombe insani ricordi. Ad novam vitam pervenio. Volli fortissimamente volli. Non restano che le iridescenze violacee del mattino. Non resta che calarsi dal camino. Non resta che sedersi a tavolino. Non resta che intraprendere il cammino.
Fantasmi
Nell’afa notturna livida di luna
gonfi di vento caldo
aggrappati alla carena
vapori saturi ribollono
decisi scalano la scotta.
Immoto il battello all’orizzonte
lampeggia di ectoplasmi
lattiginosi fluorescenti
che danzano sul ponte
mano nella mano un girotondo.
È stato faticoso ricucire il volto
per darci un ultimo saluto
mentre la luna con scatto di lampreda
s’immerge a ridonar la notte
che nel suo nero sudario ci avviluppa.
A ricercare Dice
Agli ultimi raggi stiamo abbarbicati
ma inesorabile Ecate affonda
Lyra più non splende all’orizzonte
e mare e cielo è notte.
C’incamminiamo a ricercare Dice
Ade spalanca porte oscure
ed ogni porta nel cunicolo infernale
è nero ed altra porta ancora
e tutto intorno è piombo
la torcia rovesciata è spenta
persino il Lete Tanatos ci vieta.
Il vero si dispiega
il canto disperato affoga
ombre noi stessi delle nostre ombre
eterni vedemmo i gesti
nell’eterno fluire
della nostra morte.
Il palpito di Actea
Notte.
In punta di piedi sulla sabbia
l’orecchio al palpito di Actea
arrivo dove il bianco frange
agli spruzzi mi lavo e aspetto
quando riemergerà con l’Astro.
Intreccio liane verso la luna.
Visione di meta
Roveti polverosi costeggiano
Il viottolo di dune
ed ogni passo è fumo ed afa
che incartapecorisce l’ugola.
La lingua spessa si rimpasta e strozza
un desiderio affannoso di frescura.
Vaga la brezza tremula
tra la salsedine aspra
porta il profumo noto:
di pesca affoca il volto
ed il sorriso di perle allegra.
Il respiro ansante si apre alla meta
e già il rovo si fa pineta
alta e ombrosa;
nel cielo terso
la gola si squarcia al canto.