[GENNAIO 2020] Stornellata de Pinocchio. Poema in ottave d’un burattino de noantri, di Fabio Prasca, Roma, Edizioni Cofine, pp. 264, ISBN 9788898370580, euro 45,00
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A differenza di quello collodiano, il Pinocchio di Fabio Prasca è romano di nascita e di lingua: non chiama il buon Geppetto “babbo”, ma “tata” e parlando tira qualche “serciata”. In questa stornellata burlesca, in ambientazioni romane e con riferimenti all’attualità, l’Autore ripercorre in versi le tappe, o meglio, le stanze attraverso le quali Pinocchio si è fatto uomo. Si tratta di un giocoso abbandono al gusto della cantabilità dell’endecasillabo, che pare fatto apposta per essere recitato (o cantato) a teatro, “dove tutto è finto, ma gnente c’è de farzo”.
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L’AUTORE
FABIO PRASCA, nato a Roma nel 1967, vive da sempre al Tuscolano, dove ha frequentato la Casa dei Bambini di viale Spartaco, magico luogo di sperimentazione della libertà responsabile, fondata nel 1950 da Flaminia Guidi, allieva di Maria Montessori. Dopo il liceo classico, la laurea in giurisprudenza e l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato, ha lavorato alla Camera di Commercio di Reggio Emilia, all’Avvocatura del Comune di Roma e all’Enea. È avvocato dell’Agenzia Spaziale Italiana.
Agli inizi degli anni ’90, ha cominciato a interessarsi alla poesia dialettale del Novecento grazie all’antologia curata da Mario Dell’Arco e Pier Paolo Pasolini. Ispirato dalla lettura della raccolta di sonetti Daje de tacco… di Claudio Verdini, figlio di Raul, si è cimentato nella scrittura di sonetti in romanesco. La stornellata de Pinocchio è la sua prima pubblicazione.
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NEL LIBRO
I.
Mastro Cerasa in ne la su’ bottega
trova un pezzo de legno ciorcinato,
che, si ce passa pianozza, ascia o sega,
piagne, ride, apre bocca e je dà fiato.
E dato ch’er mistero nun se spiega,
Cerasa casca in tera furminato:
er naso, ch’era rosso com’er vino,
pe la paura addiventa turchino.
(…)
III.
XII.
Magnafoco je dà ottanta denari
p’agliutà tata a uscì da la miseria
e ingojà mejo li bocconi amari.
Poi je fa pure na proposta seria:
che tata se l’associa ne l’affari.
Ma ar monno ce sta tanta cattiveria:
prima de portà a tata quelle porpe,
se fa fregà dar Gatto e da la Vorpe.
se fece sotto e chiese ar burattino:
“Come se chiama tata, dimm’un poco?”.
“Geppetto” disse lui. “Fa er vitturino?”
“Fa er poveraccio fa, sor Magnafoco,
nun vede manco er becco d’un quadrino:
p’abbuscà l’abbeccè, somara vacca,
Ecco i denari: ottanta sò, più o meno…
Portali a tata” e aggiunse, cor vocione,
“dìje, da parte mia, de stà sereno!
Si vole me l’associo ar baraccone:
nun faccia er fesso e sarga su sto treno!”
Pinocchio aringraziò, fece ’n inchino,
salutò tutti e annò incontro ar distino.